Elli de
Mon
Raise
(2025, Rivertale Production)
File Under: Saints & Sinners
L’idea di canzoni che utilizzino
un dialetto (se non proprio una vera lingua) regionale, anche su sonorità non per
forza di musica tradizionali, è ormai vecchia, e l’elenco di nobili esempi, da Creuza
de Ma in giù, è vasto. Anche il mondo del blues non si è fatto attendere
nello sperimentarne l’effetto (singolare, ad esempio che l’unico disco
interamente in napoletano registrato da Edoardo Bennato, con l’alias di Joe
Sarnataro, fosse proprio in chiave chicago-blues), ma nel caso di Elli De Mon
i distinguo sono parecchi.
Lei la conosciamo già da molti
anni su queste pagine, sia come solitaria one-woman-band dedita ad un blues
spigoloso e luciferino, sia, con il suo vero nome (Elisa de Munari), come
autrice di libri, e rinnovo l’invito a leggere il suo interessantissimo Countin
The Blues sulle blues-singer storiche. Doppia vita artistica che qui si riunisce
in un album intitolato Raise (“radici” in vicentino), a cui fa
eco anche un libro dallo stesso titolo realizzato con le illustrazioni di Luca
Peverelli. Ma per l’album, stavolta, non solo ci troviamo davanti ad una
proposta che esce ancor più del solito dai confini del blues usato nella sua
abituale versione anglofona, ma qui Elli De Mon si inventa un suono che sa di
Delta come anche di Laguna, anche se più precisamente il dialetto utilizzato è
quello vicentino e non veneziano.
Anzi, l’album è una sorta di concept
che scava nelle sue radici del paese di origine, Santorso, tra santi veri e
miti pagani che costellano la storia di Orso (da non confondere con il più noto
Sant’Orso della Val d’Aosta), un nobile del medioevo che, dopo aver ucciso la
famiglia, fu condannato ad intraprendere un lungo cammino in cerca di una
identità. Un simbolico percorso umano che è di ispirazione per una serie di
canzoni che vanno davvero oltre il concetto di blues, invadendo il campo del
mondo del dark-folk come anche di un roccioso stoner-rock alla Kyuss in alcuni
casi, e creando così un genere tutto suo, a cui il dialetto si adatta persino meglio
dell’italiano.
Le origini famigliari di Raise,
la presentazione del personaggio principale di Orso e di Sinner (dove
riaffiora un refrain in inglese), il viaggio che lo ha portato alla santità di Sumàn
(il monte Summano sovrasta il paese di Santorso) sono tutti i primi tasselli
della leggenda, che poi si fa quadro di vita di provincia in El Me Moro,
dove su un ipnotico ritmo sospeso a metà tra The End dei Doors e All
Tomorrows Parties dei Velvet Underground da rientriamo nell’ambito del focolare domestico con
una moglie che deve sopportare le angherie del marito che tona a casa ubriaco.
La presa di coscienza di poter risorgere a nuova vita arriva in Babastrii (Pippistrelli),
simboleggiata dall’acqua purificatrice di Giose (Gocce), e si finisce
così con la rinascita (Sarò Tera) e la ninna nanna finale di Nana
Bobò.
Elli suona tutto, aiutata da Marco
Degli Esposti e Francesco Sicchieri alle chitarre e percussioni, e lasciandosi
influenzare da suoni che uniscono rock anni 90, blues, temi orientali
tradizionali veneti, e componendo un puzzle davvero originale, nonché un album
che meriterebbe davvero di portarla davanti a platee anche più ampie.
Nicola Gervasini
Nessun commento:
Posta un commento