lunedì 7 aprile 2025

Elli de Mon

 

Elli de Mon

Raise

(2025, Rivertale Production)

File Under: Saints & Sinners

L’idea di canzoni che utilizzino un dialetto (se non proprio una vera lingua) regionale, anche su sonorità non per forza di musica tradizionali, è ormai vecchia, e l’elenco di nobili esempi, da Creuza de Ma in giù, è vasto. Anche il mondo del blues non si è fatto attendere nello sperimentarne l’effetto (singolare, ad esempio che l’unico disco interamente in napoletano registrato da Edoardo Bennato, con l’alias di Joe Sarnataro, fosse proprio in chiave chicago-blues), ma nel caso di Elli De Mon i distinguo sono parecchi.

Lei la conosciamo già da molti anni su queste pagine, sia come solitaria one-woman-band dedita ad un blues spigoloso e luciferino, sia, con il suo vero nome (Elisa de Munari), come autrice di libri, e rinnovo l’invito a leggere il suo interessantissimo Countin The Blues sulle blues-singer storiche. Doppia vita artistica che qui si riunisce in un album intitolato Raise (“radici” in vicentino), a cui fa eco anche un libro dallo stesso titolo realizzato con le illustrazioni di Luca Peverelli. Ma per l’album, stavolta, non solo ci troviamo davanti ad una proposta che esce ancor più del solito dai confini del blues usato nella sua abituale versione anglofona, ma qui Elli De Mon si inventa un suono che sa di Delta come anche di Laguna, anche se più precisamente il dialetto utilizzato è quello vicentino e non veneziano.

Anzi, l’album è una sorta di concept che scava nelle sue radici del paese di origine, Santorso, tra santi veri e miti pagani che costellano la storia di Orso (da non confondere con il più noto Sant’Orso della Val d’Aosta), un nobile del medioevo che, dopo aver ucciso la famiglia, fu condannato ad intraprendere un lungo cammino in cerca di una identità. Un simbolico percorso umano che è di ispirazione per una serie di canzoni che vanno davvero oltre il concetto di blues, invadendo il campo del mondo del dark-folk come anche di un roccioso stoner-rock alla Kyuss in alcuni casi, e creando così un genere tutto suo, a cui il dialetto si adatta persino meglio dell’italiano.

Le origini famigliari di Raise, la presentazione del personaggio principale di Orso e di Sinner (dove riaffiora un refrain in inglese), il viaggio che lo ha portato alla santità di Sumàn (il monte Summano sovrasta il paese di Santorso) sono tutti i primi tasselli della leggenda, che poi si fa quadro di vita di provincia in El Me Moro, dove su un ipnotico ritmo sospeso a metà tra The End dei Doors e All Tomorrows Parties dei Velvet Underground da  rientriamo nell’ambito del focolare domestico con una moglie che deve sopportare le angherie del marito che tona a casa ubriaco. La presa di coscienza di poter risorgere a nuova vita arriva in Babastrii (Pippistrelli), simboleggiata dall’acqua purificatrice di Giose (Gocce), e si finisce così con la rinascita (Sarò Tera) e la ninna nanna finale di Nana Bobò.

Elli suona tutto, aiutata da Marco Degli Esposti e Francesco Sicchieri alle chitarre e percussioni, e lasciandosi influenzare da suoni che uniscono rock anni 90, blues, temi orientali tradizionali veneti, e componendo un puzzle davvero originale, nonché un album che meriterebbe davvero di portarla davanti a platee anche più ampie.

 

Nicola Gervasini

 

Nessun commento:

Elli de Mon

  Elli de Mon Raise (2025, Rivertale Production) File Under: Saints & Sinners L’idea di canzoni che utilizzino un dialetto (se n...