sabato 29 giugno 2019

ANDREA CASSESE

Andrea Cassese 
La minoranza 
[Seltz Recordz 2019]

 File Under: Canzoni dal lungomare

facebook.com/SeltzRecordz

di Nicola Gervasini






Non saprei più bene indicare il confine tra canzone d’autore e canzone indie in Italia, ma potrebbe non avere troppa importanza quando ci si trova in mano un prodotto di grande qualità come questo La Minoranza di Andrea Cassese. Undici brani che cercano la ballata soffice, prettamente acustica nell’anima, ma ben elaborata negli arrangiamenti. Canzoni che trovano il cantautore napoletano ulteriormente maturato rispetto al suo esordio Oltre gli specchi del 2015, con testi che parlano delle sue origini (Lungomare) così come della difficoltà a mantenere rapporti sentimentali nel tempo (Candele) o riflessioni sul valore delle parole nei moderni social (Potere di Abuso). Il tono si fa più rauco solo in Prospettiva Bidimensionale, dove si nota la presenza di Cesare Basile alla voce e basso, un brano sulla perdita della memoria storica che porta alla bella e decisamente “Battistiana” title-track, discorso sull’omologazione anticipato dall’inno alla speranza “nonostante tutto” di Non Luogo. Speranza che quindi si trasforma in una sospensione di tutto in Nell’Attesa, ispirata da una frase del Nanni Moretti di Ecce Bombo, seguita da una Meritocrazia che riflette su come il significato di certe parole perda la propria valenza positiva nel momento in cui si scontra con la fredda realtà di un mondo che ragiona solo per schemi economici. La cavalcata quasi country-western di La forma dell’Immagine omaggia invece l’arte pittorica di Giorgio Morandi, mentre si finisce con ISL (acronimo di International Sign Language, riflessione sul linguaggio) e Tic, che chiude il cerchio del disco con il profumo di mare che aveva aperto il tutto. Consigliato.

giovedì 27 giugno 2019

GOLD MASS

Transitions [Explicit]

Mi trovo sempre più spesso a sentire album sia italiani che stranieri (penso al recente Apparat di cui mi sono anche occupato) definibili come "elettronica", termine ormai con confini non più troppo definibili. E' vero che all'elettronica ricorrono gran parte delle produzioni indipendenti, forse anche per questioni di budget, ma anche perchè comunque il suono è di moda, e notavo ancor più particolaramente nel mondo cantautorato femminile. Il pericolo di un certo appiattimento musicale può anche essere reale, ma alla fine c'è sempre un fatto che fa la differenza: le canzoni. Transitions, album di esordio di Gold Mass ad esempio, è un album che aggiunge parecchia sostanza  ad un sound elettronico al 100%, laddove in verità il poliedrico Alessandro Baris ha suonato anche batterie, bassi e chitarre per colorare il suono delle tastiere di Emanuela Ligarò, la padrona di casa. Ma se da una parte il risultato è di prim'ordine anche perchè registrato otto la supervisione del produttore Paul Savage (Mogwai, Arab Strap, Franz Ferdinand), dall'altra Gold Mass ci mette una serie di brani in cui fa risaltare la sua voce, ma anche un'ottima costruzione melodica che mi fa quasi pensare ad una Joan As Police Woman più elettronica. Ho apprezzato in particolar modo Awakenings, Happiness in A Way o la sensuale Sentimentally Performed, ma il disco regge bene fino al finale pianistico di Mayday senza sbavature.

giovedì 20 giugno 2019

VINNIE JONEZ BAND

Non so se qualcuno si ricorda ancora che l'attore Vinnie Jones, reso celebre al cinema dal regista Guy Ritchie con Lock & Stock e Snatch e oggi ormai affermato caratterista in tanti film e serie tv, fu calciatore nella Premier League (giocò anche nel Chelsea) e nazionale gallese, ma sicuramente se lo ricordano i romani della Vinnie Jonez Band, talmente loro fan da dedicargli il nome di una band. Ho ascoltato il loro nuovo Ep Più Calmo Di Te, il secondo dopo l'esordio in inglese Supernothing e l'album Nessuna cortesia all’uscita che ha sancito il passaggio all'italiano. Scelta controcorrente visto il sound al limite dello stoner rock della band, un muro del suono di chitarre (e qui anche un synth spesso in evidenza) che siamo abituati a sentire più da band anglofone, e che forse riporta in qualche modo ai tempi dei Timoria e degli Afterhours. La voce di Gianluca Sacchi infatti resta nell'amalgama del suono nonostante la voglia di porre più l'accento sui testi, mentre la chitarra di Marco Cleva e la sezione ritmica di Francesco Fiacchi e Andrea Ilardi ricreano una atmosfera cupa da primi anni 90 (Lagertha - dedicata alla protagonista della serie Vikingse Il Paese Respira), con qualche accelerazione di rito (Fango). Consigliato sia agli amanti della musica italiana, sia a quelli amanti di quell'hard anni 90 che in fondo non è mai passato di moda veramente.
Nicola Gervasini

domenica 9 giugno 2019

ORVILLE PECK

Orville Peck 
Pony
[
Sub Pop 2019]
orvillepeck.com
 File Under: Masked and Anonymous

di Nicola Gervasini 
(22/04/2019)

Per anni i critici musicali si sono scervellati per capire in che direzione stava andando il rock (intenso nel senso più largo) e a cercare la “Next Big Thing” che avrebbe rimescolato nuovamente le carte. Oggi questa discussione pare non avere più senso, e quello che nessuno aveva previsto è che la presunta continua progressione ed evoluzione del rock sarebbe morta a causa della fine di un mercato che alimenti questa crescita, più che per vero esaurimento di idee. Per questo penso che solo venti anni fa un personaggio come Orville Peck sarebbe stato pompato con copertine, proclami e discussioni sulla veridicità del personaggio, mentre oggi pare poter essere solo un curioso nuovo arrivato, tirato fuori dal cilindro di una Sub Pop alla continua ricerca di una nuova identità.

Impossibile infatti non rimanere attirati dai video che rappresentano questo disco di esordio chiamato Pony, dove vediamo un cowboy mascherato non da fuorilegge con il canonico polveroso fazzoletto sulla bocca, ma con una sorta di maschera da Zorro con aggiunta di stilose e ben poco rudi frange. Ma è la musica che colpisce, con le sue mille influenze, in cui l’outlaw-country passa quasi in secondo piano. Il video di Turn To Hate gioca col mito del pub con tanto di toro meccanico, ma attraverso un brano infarcito di chitarre da underground anni 80 a metà tra i primi REM e Lloyd Cole (ricordato tanto anche nel modo di cantare), ma già Dead Of The Night e Big Sky si spostano in uno strip-club/bordello in mezzo al deserto con armonie che potrebbero appartenere al Chris Isaak più autunnale. Il cowboy-swing di Roses Are Falling sembra invece un brano dell’Elvis Presley più rilassato, Take You Back una cavalcata del West tra fischi e spari morriconiani e racconti gothic alla Johnny Cash. Quello che rende intrigante la sua proposta è quel taglio un po’ notturno delle sue canzoni, tanto che in fondo una Nothing Fades Like A Night non sarebbe stata male su un vecchio disco dei Tindersticks, Buffalo Run potrebbe essere una cover di un vecchio brano dei Thin White Rope, eQueen Of The Rodeo il risultato di un viaggio americano di Morrissey. Anche se altrove si viaggia su rassicuranti stilemi da puro country-rock radiofonico (Winds Change), o si gioca con old-songs uscite da finte radio gracchianti (Kansas, esperimento che potrebbe anche ricordare le canzoni dalla cabina telefonica del Neil Young di A Letter Home).

In sostanza un disco ben fatto (con uno stuolo di ancora poco noti amici), con canzoni scritte con maestrìa anche se mai davvero memorabili, e un artista che vuole restare misterioso (di lui sappiamo che è canadese) probabilmente più per giocare a un marketing casereccio, che non so quanto possa ancora funzionare. Il vantaggio, come dicevo, è che ci siamo liberati dall’arduo compito di proclamare se Orville Peck sia bluff o sostanza, se il futuro della country music passa da qui, o sia solo un patetico buffone venuto a cercar fortuna mescolando a caso un po’ di cose sentite alla radio di Nashville e nei dischi anni 80 di suo padre. Vi lasciamo questa responsabilità, godendoci quello che in fondo è solo un più che discreto e piacevole disco, che vi consigliamo senza urlare troppo.

giovedì 6 giugno 2019

TODD SNIDER

Todd Snider 
Cash Cabin Sessions, Vol.3
[
Aimless Records/ Goodfellas 
2019]
toddsnider.net 
 File Under: acoustic gags

di Nicola Gervasini (04/04/2019)
Non avevo trattato benissimo Todd Snider nella recensione dell’ultimo album Eastside Bulldog, contestandogli una troppa fiducia nella nostra disponibilità a prendere per buoni prodotti improvvisati e poco curati. Se negli anni Novanta aveva indubbiamente portato un po’ di freschezza alla scena cantautoriale americana grazie al recupero della vena satirica del suo padrino spirituale John Prine, non si può dire che nel nuovo secolo Snider sia riuscito a ritagliarsi un ruolo di punta, nonostante qualche disco comunque godibile come The Devil You Know ormai datato 2006. Tutti noi abbiamo piacere a farci prendere un po’ in giro dalle sue invettive, ma in cambio chiediamo sostanza, per cui accettiamo che anche questa volta lui confonda le idee con un titolo (Cash Cabin Sessions, Vol. 3) che sa più di volume di inediti in stile Bootleg Sessions dylaniane piuttosto che il vero e proprio nuovo album in studio, quale è a conti fatti.

Il disco, infatti, gioca ad essere una finta raccolta di demo per un album ancora da produrre, con l’intento di ritrovare la qualità del suo songwriting in una atmosfera ridotta all’osso di chitarre acustiche, banjo e qualche percussione. Risultato only for hard fans anche questa volta purtroppo, ma almeno qui torna il piacere di godere di una penna troppe volte sacrificata da produzioni non all’altezza. Snider punta tutto su arrangiamenti semplici ma efficaci, che rendono brani come la bella Like A Force of Nature (duetto con Jason Isbell) uno dei migliori episodi ascoltati dal suo lato negli ultimi anni, ma per il resto il clima è sempre quello di un lavoro estemporaneo fatto da un artista che continua ad accontentarsi troppo. In ogni caso ci si diverte col numero comico alla Loudon Wainwright III The Blue on Banjo, con le sue classiche filippiche sociali (Talking Reality Television Blues) e qualche buona canzone da vero folksinger (FramedWorking on a Song Just Like Overnight).

Anche le dediche musicali toccano il cuore con i sentiti omaggi di The Ghost of Johnny Cash e Cowboy Jack Clement's Waltz, la storia del roadie di Elvis Presley raccontata in Watering Flowers in the Rain, fino al divertente blues finale di A Timeless Response to Current Events. Il clima è quello di un concerto acustico in un club per pochi intimi, ma qualche buona stoccata registrata in economia non basterà a riportarlo in cima ai nostri pensieri, relegando Cash Cabin Sessions, Vol. 3 a diventare l'ennesimo titolo non troppo significativo della sua discografia. Ma avremo la pazienza di attendere che un giorno abbia di nuovo voglia di sorprendere

lunedì 3 giugno 2019

JIM JONES

Jim Jones and The Righteous Mind
CollectiV
[
MaSonic/ Goodfellas 2019]
righteousmind.co.uk
 File Under: The Bad Seeds of Rock and Roll

di Nicola Gervasini (29/03/2019)
Sembra ieri, ma sono passati quasi dieci anni da quando su queste pagine web vi consigliavamo una cospicua dose di adrenalina rock con l’album Burning Your House Down della Jim Jones Revue. Vi parlavamo di una sorta di connubio tra Little Richard e gli MC5, e per qualche tempo ci eravamo lasciati andare ad applaudire un sound fatto puramente di vigore e rabbia, ribadito anche nell’album successivo The Savage Heart del 2012. Da allora Jim Jones, che in gioventù fu leader dei Thee Hypnotics, ha poi camminato da solo, ma fondamentalmente senza mutare troppo il suo abito rock. Ha messo su una nuova band (The Righteous Mind, composti da Gavin Jay al basso, Mal Troon alla chitarra, Matt Millership alle tastiere e Andy Marvell alla batteria), ha coinvolto qualche amico come Ray “Sonic”” Hanson e Phil Smith dei Thee Hypnotics, le vocalist Sister Cookie e Vesna Petresin e Paul Ronney-Angel degli Urban Voodoo Machine, e ha pubblicato il secondo album della sigla (il primo era Super Natural del 2017), continuando a riproporre il suo garage-rock rauco e selvaggio.

Stavolta con qualche variazione sul tema, e con non poche strizzate d’occhio a Nick Cave con i suoi Bad Seeds (Meth ChurchGoing There Anyway e Dark Secrets hanno il suo suono), ma con qualche esperimento in più (il trip acido di O Genie per esempio). Ma a farla da padrone sono sempre le chitarre sporchissime che animano i riff di Attack of The Killer Brainz o una iniziale Sex Robot che tanto ricorda gli australiani Beasts of Bourbon (come anche il rock and roll finale di Shazam, caratterizzato da un sax in puro stile Stooges/Fun House), mentre il piano pulsante che aveva caratterizzato i dischi della Revue fa di nuovo capolino in Satan Got His Heart Set On You. Il tutto con un fare giocoso e ironico, che lo porta magari a strafare un po’ quando rende iper-sguaiata una ballata soul come I Found A Love (provate ad immaginare un Solomon Burke ubriaco), e certamente anche la continua ricerca dei riff old-style non porta nulla che non si sia già sentito in una qualsiasi cantina di un rocker old-style (Out Align).

Ma è evidente che a Jones interessa urlare, rendere tutto storto con lo stesso piglio con il quale Captain Beefheart faceva a pezzi gli schemi del blues, o tenere tutto sopra le righe come il Tom Waits più gigione ed estremo. Non so quanto possa ancora avere senso nel 2019 un disco come CollectiV, se non ricordare alle nuove generazioni, sempre meno innamorate della purezza del rock, quanta potenza può avere il suono rude di una chitarra fintamente scordata e di quanto l’urlo possa essere considerato una parte integrante di una canzone. Essenziale più nello stile che nella sua importanza storica, CollectiV è un album consigliato per dare una scossa al torpore depressivo del rock di questi anni dieci.

domenica 2 giugno 2019

DISTORSONIC

Risultati immagini per Distorsonic - Twisted Playgrounds
Non chiedetemi di definire esattamente che genere facciano i Distorsonic, diciamo che siamo lì dalle parti della musica di avanguardia, ma forse non basta a rendere l'idea. Sono un progetto che Maurizio Iorio ha creato più di vent'anni fa come una sorta di side-project, ma questo Twisted Playgrounds è solo il terzo album. Iorio è un veterano della scena musicale italiana, e qui ha dato vita ad un disco fatto solo con il suo basso e la batteria di Stefano Falcone. 

Provate ad ascoltarlo qui e poi immaginiamoci quale tipo di film potrebbe avere una simile colonna sonora
https://soundcloud.com/user3098264

BILL RYDER-JONES

  Bill Ryder-Jones Lechyd Da (Domino 2024) File Under:   Welsh Sound I Coral sono da più di vent’anni   una di quelle band che tutti...