sabato 27 settembre 2014

AMY LaVERE


 Amy LaVere 
Runaway's Diary 
[
Archer Records 
2014]
www.amylavere.com

 File Under: upright bass folk

di Nicola Gervasini (08/07/2014)
Non ci siamo mai occupati direttamente di Amy LaVere, ma non è mai troppo tardi per farlo. Non tanto perchéRunaway's Diary, suo quarto album, rappresenti chissà quale approdo alla maturità, quanto perché la sua breve discografia merita di essere riscoperta dagli appassionati di un certo mix di country, jazz e musica retrò. Forse i suoi titoli più celebrati restano i primi, per cui andate a recuperare l'esordio This World Is Not My Home del 2006, registrato con Jimbo Mathus, Anchors and Anvils dell'anno successivo, forse il suo titolo più importante (prodotto da Jim Dickinson), e Stranger Me del 2011. Ma, per partire, va benissimo anche questo nuovo prodotto, presentabile come il disco che avrebbe potuto fare oggi Norah Jones se avesse continuato a seguire le strade della tradizione roots (incrociate spesso nella sua carriera), e non si fosse addormentata sugli allori strada facendo.

Amy, contrabbassista che ha anche una intensa attività come session-girl, nel 2012 ha dato anche vita al supergruppo dei The Wandering (formato da Luther Dickinson, Valerie June, Shannon Mcnally e Sharde Thomas), e proprio dal figlio del compianto Jim e leader dei North Mississippi All-stars si fa produrre un disco formalmente perfetto e, a tratti, anche di vera sostanza. Rabbit, ad esempio, lungo ed emozionante lamento corredato da un bell'arpeggio di chitarra, è una partenza da vera songwriter, ma subito la voglia di mostrare il campionario di stili di cui è capace prende il sopravvento, con la vintage e baldanzosa Last Rock And Roll Boy To Dance, il piano old syle che contrappunta Big Sister o l'hillbilly diSelf Made Orphan. I toni da festa country riescono a far sembrare meno triste persino Where I Lead Me di Townes Van Zandt, ma si riabbassano subito con l'ottima ballad Snowflake e una riuscita cover di How di John Lennon.

In ogni caso i suoi dischi hanno forse il difetto di essere troppo spesso più una dimostrazione di bravura e eclettismo (si prenda l'impalpabile Don't Go Yet, John) che una vera e propria necessità di scrivere musica, ed è un peccato, visto che gli episodi migliori sono proprio quelli autografi, mentre a volte nelle cover scade un po' nello scolastico (Lousy Pretenderdi Mike McCarthy e Dark Moon di Ned Miller). Bella voce, bel sound e buona band (da segnalare Will Sexton alle chitarre): per le buone canzoni c'è un po' più da cercare forse, ma ce n'è quanto basta per consigliare la scoperta del personaggio. 

BILL RYDER-JONES

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