mercoledì 29 dicembre 2021

NichelOdeon, InSonar and Relatives

 

NichelOdeon, InSonar and Relatives – INCIDENTI, Lo Schianto

SNOWDONIA, 2021

Ci vorrebbe un libro per entrare nei meandri della carriera di Claudio Milano, ufficialmente “Ricercatore vocale, compositore e musicoterapista” secondo la sua biografia, ma, alla fine, un caso dove la passione del musicista e la ricerca del musicologo trovano una sintesi nei suoi tanti progetti sparsi in più di vent’anni di attività. Le sigle NichelOdeon e InSonar rappresentano alcuni dei tanti gruppi, anzi, “laboratori multimediali” come ama definirli lui, con cui pubblica dischi, e non è difficile chiedersi perché proprio la Snowdonia, etichetta abituata a pubblicare progetti complessi e visionari fin da quelli dei padroni di casa Maisie, abbia deciso di pubblicare questo INCIDENTI_Lo_Schianto, progetto che unisce tante collaborazioni per 76 minuti di musica. L’effetto un po’ stordente di tante parole e suoni di diversa provenienza è inevitabile, l’album infatti è nato probabilmente per essere ascoltato non con voracità e sempre tutto di fila, ma centellinato brano dopo brano. Claudio Milano comunque è il centro del progetto, in cui unisce rock, classica, jazz, world music e tanto altro (giusto per dare definizioni molto generiche che andrebbero poi sviscerate con più puntuale dovizia di particolari). Suoi anche i testi, anche se in alcuni casi è ricorso a rielaborazioni di lavori altrui come Variations on The Jargon King che riscrive un testo di Peter Hammill (il brano The Jargon King era sull’album Black Box del 1980), oppure la suite in 3 parti Ho Gettato mio Figlio da una Rupe Perché non Somigliava a Fabrizio Corona ha una fase col testo composto da un cut-up di frasi tratte dalle recensioni ai suoi precedenti dischi, intitolato ironicamente Il Coro dei Critici all'ultima Sponda del Commiato, tra le quali basterebbe citare la definizione di “The Antichrist of Italian Prog”.  Ovviamente non manca qualche riferimento letterario più classico come i “Una Strana Zingarella” di Dino Campana e “Profezia” di Pier Paolo Pasolini citati in Nyama (Gettarsi oltre) e un Idiota – Autoritratto (Tadzio’s Death) che, come è evidente, si ispira alle opere di Dostojevski e Mann, mentre alcuni testi portano la firma di Salvatore Lazzara (Senza Ritorno e Sabbia Scura). Per il resto, detto che anche la confezione dell’album rispetta gli standard di straordinaria cura e amore dell’etichetta, che non bada certo a spese nel nobilitare la sempre meno di moda arte del supporto rigido, non vi resta che provare ad addentrarvi nelle canzoni di Milano, tra testi esistenzialisti e poetici e strutture musicali che amano le sorprese e i cambi di tempo. Qualcuno appunto lo definisce prog italiano, ma sinceramente mi viene più naturale considerarlo un disco di musica “totale” che volutamente non cerca confini stilistici, e forse è proprio l’essere costretti a navigarci dentro senza coordinate il suo grande valore.

VOTO: 7

lunedì 6 dicembre 2021

THE BLEACHERS

 

The Bleachers - Take the Sadness Out of Saturday Night

RCA, 2021

 

Rifiutandomi di cedere ancora alla facile scappatoia di una definizione di “indie-pop” che ormai può includere di tutto, senza più dire niente di preciso, faccio effettivamente fatica a focalizzare un modo per descrivervi la musica dei Bleachers, soprattutto alla luce di questo loro terzo album Take the Sadness Out of Saturday Night. “Loro”, o farei meglio a dire “suo”, perché poi (questo si che è un vezzo tipico dell’era “indie”) il nome nasconde un progetto solista di Jack Antonoff, ragazzo del New Jersey nato a pane e Springsteen, ma innamorato delle mille possibilità produttive delle tastiere e delle programmazioni informatiche musicali. Ma anche poliedrico musicista (tra gli impegni anche quello di batterista per i Fun) che ama ammantare di effetti, loops e riverberi canzoni figlie di mille tradizioni, e soprattutto autore e produttore capace di sfornare hit per St Vincent (sua la produzione di Masseduction), Taylor Swift, Lana Del Rey, e tanti altri. Dicevamo Springsteen però, una presenza quasi obbligatoria nel background di uno del New Jersey, ma che mai come ora esce allo scoperto in questo album, vuoi perché il prode Bruce interviene di persona e presta la sua inconfondibile voce per il brano Chinatown, paradossalmente il più puramente pop e radiofonico (e diciamo meno springsteeniano) del lotto, vuoi perché gli arrangiamenti di altri brani del disco (Big Life, 45) celano un “wall of sound” alla Born To Run fatto di cori, campanelle e tanti suoni amalgamati. Ma il tutto viene comunque filtrato attraverso la voce per nulla da Jersey-sound del padrone di casa, e da mille interventi produttivi. Il risultato è spesso divertente (How Dare You Want More) o pure suggestivo (Don’t Go Dark), anche se resta un po’ la sensazione di rimanere storditi più che ammirati davanti a tante citazioni e elementi, in uno stile pop barocco che è sicuramente modernissimo, se è vero che anche il Beck più recente si aggira in questi paraggi sonori. Il disco dura solo 33 minuti ma ci sono idee almeno per un triplo, e ribadisce come Antonoff rimanga alfine sospeso tra una formazione decisamente da classic-rocker e velleità pop (il duetto con Lana Del Rey di Secret Life), finendo un po’ per sembrare troppo elaborato per il mondo degli ascolti fugaci dello streaming commerciale, e fin troppo autore di un pop mordi e fuggi per una audience più adulta. Ma pare evidente anche dalla pedante partenza di 91, brano che riprende un’opera della scrittrice Zadie Smith (che interviene di persona) confezionato con l’aiuto di Warren Ellis, che il progetto dei Bleachers sia diventata la sua palestra per provare spunti e idee e sfidare entrambi i mondi, forse per ricordarci quanto il confine tra vecchio e moderno oramai sia talmente labile da non poter più, appunto, trovare una sua giusta e riconoscibile definizione.

VOTO: 6,5

BILL RYDER-JONES

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