lunedì 3 giugno 2019

JIM JONES

Jim Jones and The Righteous Mind
CollectiV
[
MaSonic/ Goodfellas 2019]
righteousmind.co.uk
 File Under: The Bad Seeds of Rock and Roll

di Nicola Gervasini (29/03/2019)
Sembra ieri, ma sono passati quasi dieci anni da quando su queste pagine web vi consigliavamo una cospicua dose di adrenalina rock con l’album Burning Your House Down della Jim Jones Revue. Vi parlavamo di una sorta di connubio tra Little Richard e gli MC5, e per qualche tempo ci eravamo lasciati andare ad applaudire un sound fatto puramente di vigore e rabbia, ribadito anche nell’album successivo The Savage Heart del 2012. Da allora Jim Jones, che in gioventù fu leader dei Thee Hypnotics, ha poi camminato da solo, ma fondamentalmente senza mutare troppo il suo abito rock. Ha messo su una nuova band (The Righteous Mind, composti da Gavin Jay al basso, Mal Troon alla chitarra, Matt Millership alle tastiere e Andy Marvell alla batteria), ha coinvolto qualche amico come Ray “Sonic”” Hanson e Phil Smith dei Thee Hypnotics, le vocalist Sister Cookie e Vesna Petresin e Paul Ronney-Angel degli Urban Voodoo Machine, e ha pubblicato il secondo album della sigla (il primo era Super Natural del 2017), continuando a riproporre il suo garage-rock rauco e selvaggio.

Stavolta con qualche variazione sul tema, e con non poche strizzate d’occhio a Nick Cave con i suoi Bad Seeds (Meth ChurchGoing There Anyway e Dark Secrets hanno il suo suono), ma con qualche esperimento in più (il trip acido di O Genie per esempio). Ma a farla da padrone sono sempre le chitarre sporchissime che animano i riff di Attack of The Killer Brainz o una iniziale Sex Robot che tanto ricorda gli australiani Beasts of Bourbon (come anche il rock and roll finale di Shazam, caratterizzato da un sax in puro stile Stooges/Fun House), mentre il piano pulsante che aveva caratterizzato i dischi della Revue fa di nuovo capolino in Satan Got His Heart Set On You. Il tutto con un fare giocoso e ironico, che lo porta magari a strafare un po’ quando rende iper-sguaiata una ballata soul come I Found A Love (provate ad immaginare un Solomon Burke ubriaco), e certamente anche la continua ricerca dei riff old-style non porta nulla che non si sia già sentito in una qualsiasi cantina di un rocker old-style (Out Align).

Ma è evidente che a Jones interessa urlare, rendere tutto storto con lo stesso piglio con il quale Captain Beefheart faceva a pezzi gli schemi del blues, o tenere tutto sopra le righe come il Tom Waits più gigione ed estremo. Non so quanto possa ancora avere senso nel 2019 un disco come CollectiV, se non ricordare alle nuove generazioni, sempre meno innamorate della purezza del rock, quanta potenza può avere il suono rude di una chitarra fintamente scordata e di quanto l’urlo possa essere considerato una parte integrante di una canzone. Essenziale più nello stile che nella sua importanza storica, CollectiV è un album consigliato per dare una scossa al torpore depressivo del rock di questi anni dieci.

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