lunedì 30 luglio 2012

DIANA DARBY


DIANA DARBY

IV (INTRAVENOUS)

Green Eyed Girl Music

***


Personaggio sfuggente e rimasto sostanzialmente nell’ombra, Diana Darby è una cantautrice di Houston attiva fin dal 2000, anno del suo esordio (Naked Time). Da allora solo due album (Fantasia Ball del 2003 e il ben accolto The Magdalene Laundries del 2005) e un lungo periodo di silenzio che ha un po’ vanificato il fatto che il suo nome cominciasse ad essere notato anche al di fuori degli ambienti folk (fu anche tra le protagoniste del disco tributo a Kris Kristofferson Nothing Left To Lose del 2002). IV, album che oltre alla spartana numerazione ha anche un sottotitolo (Intravenous), esce quindi in sordina, conscio di avere molto da recuperare in termini di notorietà. Registrato a New York, ma ripulito negli studi di Nashville con il produttore/cantautore Mark Linn, IV è un disco prettamente acustico, dove i musicisti coinvolti fanno a  gara a sparire tra i meandri della dolce e sognante voce della Darby, anche se su tutti regna il tono autunnale del violoncello di David Henry. Partenza triste, quasi soffocante con l’accoppiata Looking For Trouble - Snow Cover Me prima di arrivare a If Love, sicuramente uno dei pezzi forti del disco, breve poesia che introduce alla riuscita Spinning. Molto Suzanne Vega con in più l’influenza di tutto il cantautorato femminile indipendente anni 2000, probabilmente assimilabile al nuovo esercito di folksinger alla Laura Marling, Diana Darby punta molto sulla suggestione di voce e parole (sempre poche, i suoi testi sono molto poco verbosi e pesano i termini con studiata perizia) e molto poco sugli effetti speciali. E’ forse proprio una marcia in più in sede di produzione/arrangiamento che manca a questo IV per riuscire a risaltare nella marea di produzioni simili che inondano il mondo indipendente, ma sarebbe un peccato non notare la grande vena drammatica di un brano come Heaven, storia delle tensioni religiose vissute tra una moglie cattolica e un padre ebreo. Ritmo e tono però non cambiano mai, e alla fine l’ascolto diventa anche difficoltoso, ed è un peccato perché brani come Elena e Little One sarebbero materiale ottimo da far plasmare ad un produttore più scafato e capace di mettere in risalto quanto di buono scorre in queste canzoni. Consigliato agli amanti delle folksinger gentili, astenersi cercatori di emozioni forti.
Nicola Gervasini

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