venerdì 25 ottobre 2019

IGGY POP

Iggy Pop
Free
[
Caroline Int./ Loma Vista 2019]
iggypop.com
File Under: I wanna be your sage

di Nicola Gervasini (27/09/2019)
Iggy Pop sarebbe colui che con gli Stooges ha inventato l’attitudine (se non proprio il suono) del punk, prima ancora che qualcuno lo chiamasse così. Ed è quello che sta sempre sul palco a petto nudo, e si contorce moltissimo, lo chiamavano Iguana per quello già da giovanissimo pare. E, secondo molti, se David Bowie non l’avesse salvato, oggi sarebbe morto di overdose, in totale stato di indigenza già da anni. Fin qui non vi ho detto nulla di nuovo che non abbiate già letto alla nausea sul personaggio, ma d’altronde cosa si può dire di diverso su un artista attivo da più di cinquant’anni, che si è sempre prestato ad essere visto più come un’icona che come artista. Forse però, di tanto in tanto, potremmo anche parlar di musica quando lo nominiamo, magari ricordando che in fondo la sua discografia è una delle stilisticamente più varie e imprevedibili della generazione classic-rock, dove davvero ogni album fa storia a sé, e non riparte quasi mai dal precedente.

Con i pro e i contro della questione, visto che di passi falsi se ne contano più di uno. Ma a Pop il coraggio di osare non è mai mancato, eppure ascoltando Free realizziamo che qualche riconoscimento ancora gli si potrebbe tributare. Perché se come autore ancora fa fatica a farsi riconoscere (ricordate quanto poco fu apprezzata la svolta autoriale del sottovalutato Avenue B nel 1999?), da qualche anno Pop cerca applausi come interprete, e lo fa ancora una volta cercando lo spirito autunnale e jazzy che già fu di Après. Anche in questo caso Iggy ci ha messo poco di suo, giusto il testo di Loves Missing, che guarda caso è il brano più “alla Iggy Pop” del disco, ma per il resto ha affidato scrittura e atmosfere al jazzista Leron Thomas, autore dei brani, e vero mattatore dell’album con la sua tromba. Il risultato è curioso, e quasi a tratti ricorda uno dei dischi recenti di Leonard Cohen, lento, sussurrato, e con la sua voce (ormai palesemente di un anziano) in primo piano.

Non che manchino i momenti provocatori (il turpiloquio di Dirty Sanchez), ma paiono quasi un marchio di fabbrica doveroso, neanche più troppo necessario, perché anche senza Free è un bel disco notturno e molto vario, in cui Iggy si concede momenti di pop elettronico come Sonali, pop-song moderne come James Bond, dark-spoken-song come Glow In The Dark, o suggestivi intrecci di parole e suoni come Page. Con in più anche un certo piglio da vecchio intellettuale, soprattutto quando si concede letture di poesia di Dylan Thomas (Do Not Go Gentle into That Good Night) o recupera un testo inedito dell’amico Lou Reed (We Are the People), o nel finale, questo sì davvero alla Cohen, di The Dawn.

L’aiuta anche la chitarra di Sarah Lipstate, in arte Noveller, per un album che supera a fatica la mezz’ora offrendo un breve ma intenso momento di riflessione che, se non aggiunge nulla al suo mito, ne impreziosisce perlomeno lo spessore. E sicuramente oggi è più apprezzabile un disco così, da vecchio saggio, che una improbabile nuova edizione degli Stooges. E forse è giunta anche l’ora di mettersi una maglietta, che ad una certa età gli spifferi fanno male.

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