Alex G – Headlights
RCA, 2025
L’americano Alexander Giannascoli, in arte Alex G, potremmo considerarlo uno dei migliori rappresentanti
della “Bandcamp Generation”, cioè quegli artisti che hanno beneficiato delle libertà auto-imprenditoriale
offerta della nota piattaforma di streaming, per farsi notare e passare quindi ad una carriera sotto la
protezione di una etichetta discografica. Ben 4 album pubblicati in maniera indipendente tra il 2011 e il
2012 hanno infatti dato vita ad una carriera che oggi arriva, con questo Headlights, al sesto capitolo
ufficiale (e quindi decimo, comprendendo anche i 4 album di cui sopra).
Ma qui possiamo dire che si apre un nuovo capitolo, perché da Label importanti, ma comunque da
sottobosco, come la Orchid Tapes o la Domino, si passa ad una major come la RCA, e in questi casi la
domanda tipica del fan è sempre la stessa, chiedersi se questo abbia cambiato qualcosa nella sua qualità. La
risposta è implicitamente data dal fatto che Alex G non cambia squadra e le modalità di produzione rispetto
al precedente album God Save the Animals (2022), confermando alla co-produzione Jacob Portrait, bassista
della Unknown Mortal Orchestra, e suonando come suo solito praticamente tutti gli strumenti (sezione
d’archi a parte), lasciando spazio alla sua storica band d’accompagnamento nei tour (Samuel Acchione,
John Heywood e Tom Kelly), solo nell’ultima traccia (Logan Hotel), quasi a voler ribadire la piena continuità
con la sua storia e il suo giro di amicizie e collaborazioni.
In ogni caso il salto di qualità in termini di distribuzione, e la possibilità di lavorare in un vero studio di
registrazione, non ha cambiato la ricetta tipica delle sue canzoni, sempre in bilico tra folk classico e un
atteggiamento indie che guarda a Elliott Smith nello stile, e magari anche a personaggi meno noti che tanto
hanno fatto per la scena indie di 20 anni fa come Langhorne Slim o M.Ward. Manca forse nel menu un
piatto atipico, un qualcosa che si discosti veramente dalla sua collaudata routine (oggi diremmo qualcosa
che sia fuori dalla sua “comfort zone”), confermata anche negli abituali testi abbastanza onirici e visionari di
brani come Oranges, Afterlife o June Guitar, quasi che, ora che ormai ha attirato l’attenzione, Alex G non
vuole sbagliare e non si prende troppi rischi. Ne esce uno album discreto, con brani sicuramente
accattivanti come Real Thing o Louisiana, ma che mi sa che ancora lo terrà un po’ nelle retrovie di una
scena odierna troppo affollata per impressionarsi troppo per questi brani.
VOTO: 6,5
Nicola Gervasini
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