mercoledì 1 ottobre 2025

Swans

 

Swans – Birthing

2025 - Mute/Young God

115 minuti, solo 7 brani, quasi tutti con minutaggi al di sopra dei dieci minuti. Affrontare un disco degli Swans è un atto di coraggio, o, se siete degli adepti, di pura fedeltà. Con una carriera ormai lunghissima sotto varie spoglie, il leader Michael Gira ha ormai da qualche anno preso questa china nei tempi delle canzoni, quasi in voluta controtendenza con un mondo discografico che ci sta riportando alle “2 minute songs” e al singolo come formato standard. Sarà che Michel Gira noi ormai ce lo immaginammo come una sorta di guru spirituale che vive al di sopra della realtà, e perciò al riparo da qualsiasi tipo di idea di convenienza, ma forse poi non è troppo così. Perché poi, come era già successo negli ottimi The Glowing Man del 2016 o Leaving Meaning del 2019 (e forse in modalità più confusa nel più recente The Beggar del 2023), in tutto questo tempo che si prende (o ci ruba, a seconda di come la vogliate vedere), gli Swans non sono affatto avari di soluzioni musicali più che accessibili, che si diversificano anche nel corso dello stesso brano, e che non hanno nulla a che vedere con la complessità delle strutture del prog (i minutaggi porterebbero a pensarlo), quanto ancor più con un bel mix di soluzioni più legate al mondo alternativo degli anni ottanta.

The Healers apre l’album con dieci minuti di atmosfere da musica gotica e spaventa un po’, e se non lo conoscessimo già, probabilmente ci chiederemmo ”ma davvero intende fare 115 minuti così?”. Ma lo sappiamo, la risposta è no, visto che lo stesso brano si sviluppa in un declamatorio tour de force con momenti di elettricità noise. E struttura simile ha I Am a Tower, che si tramuta in una sorta di sua versione riveduta e corretta di Heroes di David Bowie (la canzone non è quella, ma ritmo e chitarre si), o dell’etereo canto di rinascita di Birthing, con il suo finale di minacciosi colpi di batteria. L’unico brano con durata diciamo “normale” (quasi sette minuti) sta nel mezzo, quasi a separare le acque di un mare di note con un brano che sa di new wave anni 80, tra voci e mille tastiere (e soprattutto, se leggete i credits, scoprirete che quasi tutti e sette i membri della band sono impegnati anche nella produzione di loops, oltre che a suonare i rispettivi strumenti).

Il disco riprende poi con i toni da apocalisse di Guardian Spirit, i cambi di ritmo di The Merge (che si chiude con una sognante ballad acustica), e con la finale (Rope) Away, divisa in due sezioni distinte.  Lo schema dei brani, infatti, è sempre quello di una lunga inquietante intro, con uno sviluppo a canzone che rassicura l’ascoltatore. Gioco che funziona, perché nonostante la loro prolissità, i pezzi riescono a tenere alta la tensione e quel senso di “sentiamo che succede ora”. Difficile dire poi che ruolo abbia all’interno della sua sterminata discografia, considerando anche altri progetti come, ad esempio, gli Angels Of Light, ma sicuramente Birthing vede una band ormai consolidata (da tempo ormai il fulcro sono le chitarre di Kristof Hahn e Norman Westberg, ma vanno anche notati gli interventi del polistrumentista Larry Mullins e del batterista Phil Puleo), che sempre più registra album come fossero delle lunghe esibizioni live libere da ogni schema.

 

VOTO: 7,5

Nicola Gervasini

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