Departure Lounge – Transmeridian
Violette Records, 2021
Tim Keegan è uno di quegli strani personaggi da dietro le
quinte del gande show della musica britannica che meriterebbe una retrospettiva
a parte. Collaboratore, tra gli altri, anche di Robyn Hitchcock (ad esempio
nell’album Moss Elisir del 1996), ha dato vita anche a vari progetti personali,
fin dal primo, quello dei Ringo, autori di un unico disco nel 1993. I più
duraturi furono i Departure Lounge, band con cui realizzò 3 album tra il
1999 e il 2002, con il terzo, Too Late To Die Young, che ottenne anche
parecchie critiche entusiastiche, nonostante la band fosse già ormai sciolta
quando venne pubblicato. Sarà per questo che la notizia di una loro reunion fa
poco rumore, perché di fatto di loro ci si era anche un po’ dimenticati. Eppure,
i quattro membri originali (a Keegan si sono riuniti Jake Kyle al basso, Daron
Robinson Drugstore alla chitarra e Lindsay Jamieson alla batteria e tastiere)
non hanno mai smesso le loro attività di turnisti, ma si sa che poi la voglia
di riprovarci da soli viene sempre.
Padrino di questi Transmeridian, quarto album della loro storia,
è Peter Buck dei R.E.M., che compare nelle sessions a dare manforte ad un
gruppo di musicisti che conosce bene da tempo, e che sicuramente alla band di
Athens devono molto anche come eredità artistica. L’album è dedicato al padre
di Keegan, ex pilota dei Cargo Transmeridian ormai pensionati negli USA, ed è
stato registrato nell’arco di 24 ore, un tour de force venuto spontaneo per
catturare un momento di particolare stato di grazia dei musicisti, riuniti
nello studio del produttore Peter Miles. Il che spiega perché in questi 13
brani spiri aria da side-project di altri tempi, dove canzoni pienamente finite
si alternano a idee abbozzate, lasciate nella loro natura primordiale per
preservarne l’immediatezza.
Dopo l’apertura ambient di Antelope Winnebago Club arriva
Australia, pezzo puramente remmiano con chitarre jingle-jangle e assoli acidi
alla Dream Syndicate, segno inequivocabile dell’appartenenza ad una cultura
rock nata nei bassifondi degli anni 80. Timber invece si poggia su dolce
dialogo tra chitarra acustica e organo, mentre nello strumentale Harvest Mood
entrano in gioco un piano e una batteria un po’ sbilenca, suggestivo preludio
all’indie-pop di Mercury In Retrograve. Insomma, pare evidente che ai Departure
Lounge piaccia variare molto la loro proposta, mischiando strumentali che sanno
di riuscita improvvisazione da studio (Al Aire Libre, Paging Marco Polo), soluzioni
di vecchio stampo (la baldanzosa pop-song Mr. Friendly) o più moderne (la
piano-ballad Don’t Be Afraid), inframezzate da qualche velleità da vecchia
elettronica new wave (Frederic’s Ghost, Gurnard Pines). Il sognante folk di So
Long chiude un ritorno gradito, seppur con una inevitabile aria nostalgica per
un mondo musicale che non c’è più.
VOTO: 7
Nicola Gervasini
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