Da giovane quando compravo un disco mi creavo nella mente un film
o un musical tipo Broadway da immaginare ogni volta che ascoltavo quel disco.
Alla sera mi mettevo da solo in camera al buio e sentivo il disco sognando la
mia storia, ogni volta con pochissime variazioni. Vi racconto quella che mi
inventai per Dusk. Era un film che iniziava ad una festa, tutti eleganti, il
disco infatti inizia con un vociare confuso di gente che fa baccano. Poi tutto
si interrompeva, la folla si apriva e apparivo io in mezzo con una chitarra che
facevo partire il canto sofferto di True Happiness This Way Lies guardando
fisso in camera con l’aria un po’ da pazzo di Matt Johnson. Per Love Is
Stronger than Death la scena si spostava nella mia camera, dove io nudo cantavo
questo pezzo immerso in una tragica solitudine. La scena spiegava da dove
derivava il disagio che mi aveva portato ad interrompere una festa dove mi
sentivo pesce fuor d’acqua. Ma il disagio si trasformava in rabbia, così in
Dogs Of Lust saltavo sui tavoli imbanditi di cibo e buttavo giù tutto a calci
suonando l’armonica. Ma a quel punto la fuga: This is The NIght mi vedeva trasformarmi
in una sorta di Fred Astaire che saliva sui tetti seguito da chi nella folla
della festa aveva riconosciuto in me un’anima gemella e sul tetto cantavo il
pezzo ballando con tutti un un tip tap oldstyle con tanto di cilindro e
bastone. E qui partiva un ricordo, un omaggio al gruppo di amici
dell’università con cui ero riuscito a trovare piena sintonia, e Slow Emotion
Replay era un video di scene di noi nei nostri migliori momenti, un attimo di
felicità che si spostava nel campo dell’amore e del sesso con Sodium Light
baby, in cui immaginavo scene di coppia. Ma la felicità è effimera, e lo
strumentale Lung Shadows mi vedeva ripiombare nella depressione e nella solitudine
di rendermi conto che i due brani precedenti raccontavano scene lontane nel
tempo, con il canto disperato “Save
me, from myself” di Bluer Than Midnight a chiudere la storia con una constatazione
di impossibilità a realizzarsi (“never find peace in this life”), con me che la
cantavo in mezzo ad una piazza vuota. Ma il finale vero era di me in un
teatrino accompagnato da vari freaks e disadattati che facevo intonare ad un
pubblico alquanto sparuto il coro finale che sapeva di morale della storia,
quel “If you can't change
the world. Change yourself.” che di fatto suonava come una richiesta a prendere
atto di una sconfitta e conviverci. Il film nella mia testa aveva una versione
lunga con l’inserimento di altre canzoni dei The The (da Soul Mining e e Mind
Bomb principalmente). Dusk è uscito nel 1992, avevo 20 anni, ed era dal 1984
che per ogni disco io comprassi creavo storia così per ascoltarlo. E’ stata una
delle ultime storie che mi sono creato legata ad un disco. Oggi i dischi non mi
ispirano più fantasia, oggi probabilmente li ascolto 😊 )- Ma quando
riascolto quelli di un tempo la storia riparte nella testa, uguale a sempre,
anche oggi, anche se sono costretto a immaginarmi nel film con i capelli
bianchi. Non so se mai ascolterò Dusk per quello che veramente è, so solo
raccontarlo così.
Nessun commento:
Posta un commento