lunedì 19 luglio 2021

NICK WATERHOUSE

 

Nick Waterhouse

Promenade Blue

(Innovative Leisure, 2021)

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C’è una certa perversione di fondo nella retro-mania di molte produzioni degli anni 2000, e non parlo di chi semplicemente ancora suona i vari generi che hanno dato vita al “classic-rock” provando almeno a cercare una personalizzazione, quanto proprio chi, come Nick Waterhouse, cerca di riprodurre il suono di un tempo, difetti compresi, per realizzare album che paiono davvero usciti negli anni sessanta. Sono ormai passati più di venticinque anni da quando i film di Quentin Tarantino hanno ricordato al grande pubblico che con le vecchie canzoni ci si poteva divertire ancora, ma il fenomeno non pare avere fine. Sia nel versante del New Soul, sia in quello di riproposizione di una cultura “sixty-pop” come nel caso di Waterhosue, l’imperativo è sembrare esattamente come quelli di un tempo, ma magari con canzoni che suonino moderne nel linguaggio e nel modo di porsi. Promenade Blue è il quinto album di questo californiano di 35 anni, e ancora una volta lo vede trasformare in forma pura ciò che dal vivo propone con grande spettacolarità, ormai forte anche di una certa popolarità arrivata dopo che ha dato voce nel 2017 ad una hit estiva del duo di dj francesi Ofenbach, che avevano ritrasformato la su Katchi, con grande successo in spiagge e discoteche di tutta Europa. Nick però resta un cultore di un certo pop raffinato degli anni 60, ed è facile citare Burt Bacharach o Lee Hazlewood come punti di riferimento, ma il vantaggio di giocare nel 2021 lo aiuta a condire il patito con echi di soul, jazz, e persino di garage-rock, anche se la sua versione di Pushin’ Too Hard dei Seeds, sorta di inno dei rozzi bassifondi degli albori del rock, qui appare in una veste del tutto estetizzante, per non dire - usando termini antichi - parecchio imborghesita. Un tempo li chiamavamo “party-records”, e ascoltando brani come To Tell effettivamente torna in mente quando il buon David Johansen proponeva qualcosa di molto simile negli anni 80 sotto le mentite spoglie di Buster Poindexter, con l’ironia della sorte che già allora (e parliamo di 35 anni fa), per qualcuno, lui pareva solo un simpatico rocker nostalgico da non prendere troppo sul serio. In ogni caso se è la forma che importa a Waterhouse, ogni tanto ci piazza anche della sostanza, con brani comunque interessanti come The Spanish Look, Silver Bracelet o B. Santa Ana. 1986. Però è ovvio che il senso di tutto è il gioco ai rimandi e al citazionismo che pare essere diventata la marca espressiva principale di questi anni venti in ogni campo (le serie televisive in primis), tanto che durante Medicine, senza neanche accorgetene, ti ritrovi a canticchiare Sixteen Tons in puro stile Platters, imbeccato da un coro basso alquanto simile, e ti rendi conto che il buon Nick non si offenderebbe affatto della cosa, ma anzi ne sarebbe lusingato. Perché alla fine un disco come Promenade Blue serve soprattutto a questo, a riconoscerci per una cultura musicale in grado di fare a pezzi queste canzoni e trovare l’origine di ogni tassello, magari avendo un po’ di invidia per quel ventenne (ci sarà no?) che, sentendo questi brani, non si chiederà da chi proviene questo suono, ma se li godrà senza troppi pensieri.

Nicola Gervasini


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