40 anni di carriera paiono tanti
anche a Joe Jackson stesso, eppure il suo viso ormai scavato li racconta tutti.
E ce li ha raccontati anche a Milano la sera del 22 marzo in un Teatro Dal
Verme sold out (“e grazie anche per
40 anni di sold out” è appunto l’ultimo saluto che Joe rivolge al pubblico prima
di andarsene), tempio milanese che si conferma come luogo ideale per i concerti
sia per comodità che per l’acustica pressoché perfetta. Jackson non è certo
uomo da lasciarsi andare a troppi sentimentalismi, ma per il tour che accompagna
l’uscita di un disco complesso e per nulla consolatorio come Fool ha scelto di fare un excursus nel
passato, con canzoni scelte in ogni decennio della sua carriera. Ovviamente con
pesi diversi, se è vero che gli anni novanta, passati principalmente a cercare
una sintesi tra pop e musica sinfonica (e non abbiamo mai capito se poi sia
stato soddisfatto dei risultati ottenuti), finiscono relegati a due estratti
dall’album Laughter and Lust del 1991
(la vivace Stranger Than Fiction e
l’intensa piano-ballad Drowning),
mentre i suoi primi anni finiscono a farla da padrone. Jackson si presenta con
la band che ha suonato nell’ultimo album, con il fido Graham Maby al basso, il poliedrico
chitarrista Teddy Kumpel e il funambolico Doug Yowell alla batteria (uno
spettacolo nello spettacolo), e presenta uno show studiato al minimo dettaglio.
I brani nuovi (Fool, Big Black Cloud,
Fabulously Absolute e una Alchemy
che apre e chiude lo show) reggono bene il confronto con i classici e questa è
stata la sorpresa più gradita, ma la conferma che per lui il rock non è mai
morto è sentire quanta forza ha ancora da spendere sui brani dell’era pub-rock
come One More Time, Got The Time, Sunday
Papers e l’immancabile Is She Really
Going Out with Him? (tutte da Look Sharp del 1979) o I’M The Man. A parte una Real
Men per la quale si inventa un inserto reggae/dub, le versioni sono tutto
sommato fedeli agli originali, tanto che per il bis di Steppin’ Out è lo stesso Jackson a scherzarci su: "Sono famoso
per stravolgere le mie canzoni dal vivo, perché è divertente, ma stavolta
faremo un esperimento: rifaremo Steppin’Out esattamente come è sul disco, dove
suonavo quasi tutto io.” E per farlo si è presentato con la drum machine
originale usata allora, un Korg Rhythm 55 KR del 1979 che lui stesso ha
definito un vero pezzo da museo. Peccato che nel revival generale si sia
dimenticato di album importanti come Beat
Crazy, Big World o Blaze Of Glory,
toccando Body And Soul solo per la
hit You Can’t Get What You Want (Till You
Know What You Want), cercando di rappresentare anche la sua carriera
recente ripescando Ode To Joy da Look
Forward (2015) e Citizen Sane e Wasted Time da Rain (2006). Per
quest’ultimo album Jackson dichiara che avrebbe voluto scrivere anche una
title-track, ma non avendolo fatto, la ruba ai Beatles, eseguendo la loro Rain con grande fedeltà, così come decisamente
rispettosa è la King Of The World
degli Steely Dan offerta per ribadire quanto il duo Fagen-Becker siano i suoi
autori preferiti. Sebbene fosse studiato in ogni suo arrangiamento e racconto,
il concerto è parso caldo e sentito, a discapito della sua proverbiale ma
immeritata fama di artista freddo e cervellotico. Non perdetelo se potete.
Nicola Gervasini
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