lunedì 18 novembre 2019

MR WOB & THE CANES

Mr. Wob And The Canes
Not Your Negro


[Voodoo Roots Stew 2019]
 
File Under: Voodoo Roots Stew


facebook.com/thewobpage

di Nicola Gervasini

Oggi se scrivete la parola “negro” in un social siete a rischio di censura, se non proprio di blocco, e l’algoritmo spesso non bada al senso della frase ma al semplice uso di un termine considerato (giustamente) non politically correct. Ma in musica “fare musica da negri” si sa da sempre che è un complimento, dato da ragioni storiche che fanno della black-music una delle componenti fondamentali dell’arte del mondo occidentale. Lo sanno bene i veneziani Mr. Wob And The Canes che con puro spirito antirazzista intitolano Not Your Negro (si veda l'omonimo documentario su James Baldwin, ndr) il loro terzo album, vero melting-pot di influenze che chiamano “Voodoo Roots Stew” (spezzatino di radici Voodoo), che vanno dal blues classico con il quale hanno esordito nel 2014 grazie all’album Invitation To The Gathering, fino a elementi latinoamericani o afro, come dimostrano negli omaggi al Voodoo Papa Legba (Elegba Too) o addirittura ad uno dei personaggi di Mai Dire Goal di Fabio De Luigi (Baraldi’s Blues). La title-track è un esempio lampante: un arpeggio psichedelico che ricorda quasi The End dei Doors della chitarra di Alessandro “Kowalski” Di Vacri, una base di percussioni ipnotica offerta da Alejandro Garcìa Hernandez che gioca con la batteria di Giovanni “Sugo” Natoli, e la voce decisamente profonda e bluesy di Andrea “Wob” Facchin a commentare il tutto. Non c’è un bassista, il che aumenta il tono sperimentale del disco, evidente anche negli altri brani, spesso molto lunghi (si arriva agli undici e minuti e passa di Down In This Hole), dove il blues, anche quando è di struttura classica (Blues #1Old Ford Car Blues, la cover di Big Road Blues di Tommy Johnson), trova comunque uno sviluppo strumentale molto variopinto e originale, con intermezzi di brani più lenti (Canadian Girl, No Man’s Land) o indiavolate danze di percussioni e acustiche (Dance of the Happy Liar Skull). Un disco che sorprende per maturità e originalità, e che serve a contraddire chi considera l’italian-blues un sottogenere di semplici seguaci, se non proprio meri fans, e non di artisti pensanti.

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