lunedì 23 agosto 2021

VAN MORRISON

 


Van Morrison

Latest Record Project, Vol. 1

(BMG Rights Management, 2021)

File Under: I Fought The Law

Accade un fatto curioso riguardo a Van Morrison. Va bene, nessuno credo possa discutere che Van “The Man” abbia dato il meglio con la sua produzione passata. E va ricordato, per contro, che rispetto a molti suoi contemporanei, lui è uno dei pochi che può vantare di aver tenuto un livello eccelso anche negli anni 80 (riconosciuto da tutti ai tempi), trovando il suono giusto per continuare a suonare moderno senza troppi compromessi anche in quegli anni difficili per la prima generazione rock. Poi però, a partire dagli anni 90, improvvisamente la sua musica è diventata vecchia, anzi, forse il simbolo del vecchio per antonomasia per tantissime riviste musicali (anche nostrane), un po’ per l’effettivo calo di ispirazione, unito quel senso di “rimescolamento della stessa minestra” che i suoi dischi degli ultimi 30 anni hanno avuto, un po’ però anche per un insensato e aprioristico ostracismo di una critica che lo ha trattato con più severità di molti suoi colleghi altrettanto non più brillanti come un tempo, molto spesso ignorando completamente le sue uscite discografiche. Invece per questo Latest Record Project, Vol. 1 si sono tutti affrettati a parlarne, perché il disco è stato anticipato da una serie di dichiarazioni e “instant-songs” che seguivano un po’ il filone complottista del periodo covid, e quindi, per la prima volta dopo anni (o forse proprio per la prima volta in assoluto), anche su Van Morrison c’è la possibilità di montare un caso mediatico utile strappare click. Alcuni di quei brani sono qui, ma neanche tutti, lasciando presagire davvero un secondo volume. Qui si impone dunque una riflessione: da quando infatti riteniamo davvero gli artisti (musicali, ma non solo) importanti per quello che pensano e non per come lo esprimono, tanto da usare la sensatezza dei loro discorsi come unico metro di giudizio della loro opera? Quando è successo che ci siamo davvero curati del fatto che il loro pensiero fosse coerente, logico, etico, e via dicendo? Ancora oggi di fatto ascoltiamo un sacco di testi rock che sono infantili, ingenui, inutilmente visionari, esagerati, incoerenti, violenti, politicamente e socialmente non più accettabili, eppure non smettiamo di farlo neppure quando ce ne rendiamo conto.  L’artista non è colui che può tracciare un sentiero, l’artista è colui che ti fa scoprire della sua esistenza, esprimendo con l’arte, e non con le teorie, le emozioni che quel sentiero suscita in lui. Lasciamo ad altri il compito di tracciare sentieri quindi. Il discorso vale per Van Morrison: stroncare questo album per le teorie sull’attualità che contiene (come si è affrettata a fare molta stampa estera, anche quella che da tempo lo ignorava) ha poco senso, perché qui bisognerebbe invece notare che queste 28 canzoni, tra gli inevitabili alti e bassi di una mole esagerata e, nel finale, anche un po’ sfiancante, sono le meglio cantate, suonate, prodotte, e - in alcuni casi - anche scritte dei suoi ultimi anni. Non che ci siano grandi novità di sorta rispetto “al suo solito”, anche se l’assolo di chitarra quasi garage-rock di Where Have All the Rebels Gone è una rarità nel suo menu, e ovunque impazzano degli azzeccatissimi cori in stile doo-wop anni 50 che paradossalmente rendono più fresco e moderno ciò che innegabilmente resta “vecchio” e passatista. Ma quella che è diversa è proprio la sua motivazione a cantare, ad aggredire la vita con i primi testi che da tempo non si adagiano nel quieto vivere della sua “splendid isolation”, per dirla alla Warren Zevon. Anche a costo di scadere ogni tanto nel patetico (vedi Why Are You on Facebook), un rischio che ritengo comunque doveroso che un artista del suo calibro si prenda. Insomma, l’ultimo disco di Van Morrison vede in pista di nuovo un uomo che esce dal suo guscio con le armi migliori che ha, la voce e la musica, il che mi porta a sperare che “s’incazzi” ancora di più per il volume due.

Nicola Gervasini

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