martedì 5 ottobre 2021

RYAN ADAMS

 

Ryan Adams – Big Colors

2021, PAX AM

 

Pare che fortunatamente le polemiche scatenate dal ritorno discografico di Ryan Adams con l’album Wednesdays non siano state abbastanza forti dal fermare la sua voglia di ritornare sotto le luci della ribalta. Un bene per chi comunque continua ad apprezzare il suo grande sforzo produttivo e artistico, e così dopo pochi mesi siamo qui a parlare di Big Colors, secondo capitolo di una trilogia registrata ormai più di tre anni fa, ma rimasta nel cassetto in attesa di tempi meno burrascosi per la sua reputazione. Anche qui pare che qualcosa sia poi stato variato dal progetto originario, e già Wednesdays era uscito in una versione ridotta rispetto a quella annunciata tempo fa, ma in attesa del terzo capitolo (che potrebbe uscire già comunque entro la fine del 2021), fa piacere constatare come Adams, pur nella sua inarrestabile “iper” (e forse anche “sovra”) produzione, riesca comunque a dare una personalità precisa alle proprie creature discografiche. E così se Wednesdays esaltava il suo lato più intimista e cantautoriale, Big Colors segue invece la vena più radio-friendly di album come Prisoner o Cardinology. D'altronde la title-track posta in apertura ribadisce tutto il suo mai nascosto debito verso il pop inglese (il suo primo album solista si apriva con una discussione su Morrissey ad esempio), ma è tutto il disco che cerca nuovamente quella perfetta sintesi tra rock americano e un gusto melodico tutto “british” che aveva già trovato la sua perfezione formale in Love Is Hell del 2004, tanto che persino la cover Wonderwall degli Oasis pareva un suo brano. Stavolta però il risultato è alterno, perché l’utilizzo di una produzione (c’è Don Was ad aiutarlo) che riporta in evidenza le batterie nuovamente “grosse”, ritornate in auge in questi anni dieci (dopo che l’indie-folk le aveva fatte sparire per lungo tempo), a volte pare un po’ forzato e non necessario (Fuck the Rain non perderebbe vigore senza ad esempio), e i risultati migliori sembrano arrivare laddove Ryan si concentra più sulla canzone (Manchester o le più convenzionali What Am I e In It For The Pleasure) che sull’effetto che desiderava ottenere. Resta che ci sono episodi che escono con successo dai suoi schemi abituali (l’hard-rockabilly di Power ad esempio), ma altrove cerca un suono da rock FM anni 80 che non gli si addice troppo. Se paragonassimo infatti Do Not Disturb ad un brano del miglior Chris Rea credo che neppure lui si scandalizzerebbe, ma cose come I Surrender o Middle Of The Line, per quanto piacevoli, ha smesso da tempo di farle persino Bryan Adams, quello con la B in più. Eppure, sebbene il disco non abbia lo stesso spessore del suo predecessore (e credo che verrà in futuro annoverato tra i suoi episodi minori), Big Colors riesce a confermare ugualmente la statura eccezionale di questo artista, ancora capace di sbagliare con gusto.

VOTO: 6,5

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