mercoledì 14 agosto 2024

ANDREA VAN CLEEF

 

Andrea Van Cleef

Horse Latitudes

(2024, Rivertale Productions)

File Under:The Dark Side of Italy

 

Lo seguiamo da tempo il bresciano Andrea Van Cleef, fin dai tempi dei Van Cleef Continental o di album come il westcoastiano Sundog (2012), il più essenziale Tropic of Nowherem dove riaffioravano le sue origini di stoner-rocker, o la collaborazione, uscita in pieno lockdown, con Diego Deadman Potron (Safari Station, prodotto da Don Antonio), per citare quelli più significativi. Ed è quindi senza sorpresa che lo ritroviamo autore di un prodotto decisamente maturo e di livello come Horse Latitudes, disco che unisce le due anime dei luoghi in cui è nato, visto che è stato registrato parzialmente in USA negli  Smilin' Castle Productions di Rick Del Castillo (spesso collaboratore per le colonne sonore di Quentin Tarantino e Robert Rodriguez), in cui sempre più spesso anche gli autori nostrani trovano modo di respirare l’aria giusta per un più fedele sound americano (anche Cisco Bellotti ci ha registrato il suo Indiani e Cowboy ad esempio).

Il grosso del lavoro è stato comunque realizzato a Montichiari, dove Van Cleef ha riunito una serie di collaboratori fidati per un album che ancora più che in passato sottolinea l’amore per un certo gothic-country o dark-folk, che rievoca ovviamente Mark Lanegan (la voce di Van Cleef lo cerca spesso), Woven Hand o Handsome Family, ma anche il mondo musicale che ruota in torno a Nick Cave (in particolare ci trovo affinità con il lavoro di Hugo Race in questo album).

Esauriti i crediti e i riferimenti però, resta un disco di ottimi brani autografi che colgono in pieno il sentimento dei nostri tempi, come The Longest Song, Come Home o Fire In My Bones. Buon peso hanno anche le collaborazioni, come le voci degli The BlackJack Conspiracy nella iniziale Horse Named Cain (anche singolo dell’album, con video girato sul Tonale), l’intervento della cantautrice Ottavia Brown (anche lei bresciana, nota anche come illustratrice) in Love Is Lonely e, soprattutto quella del mitico sassofonista dei Morphine Dana Colley nell’intenso finale di The Real Stranger. Si segnalano particolarmente Slaughter Creek per il fine arrangiamento e il quasi brit-folk di The Disappearing Child, e soprattutto una convincente cover di Ooh La La, brano dei Faces (lo cantava Ron Wood nell’originale, anche se Rod Stewart poi ne farà una versione propria), che pare discostarsi un poco dalla sensibilità dark del disco, ma costituisce forse un necessario elemento di rottura di un album molto omogeneo e senza sbavature. Horse Latitudes conferma infatti  quanto la scena “roots” italiana abbia particolarmente a cuore i toni del lato più oscuro della scena americana, suono che direi che Andrea Van Cleef governa al meglio ormai non da pochi anni.

 

Nicola Gervasini

 

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