mercoledì 14 agosto 2024

ED HARCOURT

 

Ed Harcourt – El Magnifico

2024, Deathless Recordings

Avevo un po’ mollato la pesa sulla carriera di Ed Harcourt, enfant prodige del mondo indie di inizio dei 2000, quando registrò l’album Here to Be Monster, uscito nel 2001 e ancora oggi una delle pietre miliari del cantautorato moderno. Non perché poi il ragazzo, oggi quarantasettenne, non abbia più saputo ripetersi, visto che poi anche i successivi From Every Sphere e Strangers confermarono che se magari la sorprendente freschezza dell’esordio era difficile da ripetere, comunque avevamo guadagnato un nuovo autore prolifico e importante da seguire. Negli anni Dieci però la sua produzione si è sviluppata al di fuori dei clamori, il suo nome non richiama più recensioni che urlano al miracolo ormai da tempo, e, se ci fate caso, ogni sua nuova uscita serve sempre a ribadire quanto fosse bellissimo “quel disco là e non quel disco qua”. Destino amaro di quegli artisti che arrivano all’esordio con un carico di anni di felice ispirazione nata senza pressione, e soffrono poi invece il peso delle aspettative accese.

El Magnifico è uscito il 29 marzo scorso ormai, e viene dopo quattro anni di silenzio, e con una spavalda copertina che lo fa sembrare quasi un personaggio da narcos-movie, quasi a voler ribadire che l’artista c’è ancora. Da allora non ho letto grandi lodi, nonostante alcune riviste come Uncut lo abbiano salutato come un felice ritorno, a cui fa però da voce opposta un Mojo che gli ha praticamente dato delle minestra riscaldata. Invece El Magnifico non sarà certo un disco che metteremo nelle classifiche dei dischi migliori del decennio, ma è sicuramente un album su cui vale la pena ritornare anche dopo tre mesi (che con la velocità con sui si bruciano le discussioni e reazioni ai dischi oggigiorno, pare un abisso temporale), perché comunque dimostra che Harcourt ha ancor parecchie frecce da scagliare.

Il concept stilistico dell’album è quello di una serie di canzoni nate e suonate al piano su cui però Harcourt, con l’aiuto del produttore Dave Izumi Lynch, costruisce un impianto di barocche orchestrazioni, unite a toni più teatrali del solito. Mi verrebbe da citare il Marc Almond più innamorato della canzone classica o il Rufus Wainwright più istrionico, ma forse il paragone più azzeccato potrebbe essere con la Regina Specktor dei tempi d’oro, che un brano come 1987 lo avrebbe sicuramente amato. Ma val la pena notare che di questi tempi l’idea che si possa tornare ad un pop da camera più costruito e “pieno” la stiamo notando anche in tanti giovani autori, penso ad esempio a Ramona di Grace Cummings.

Per cui sia che lavori di voluta sovra-produzione come in Broken Keys, Seraphina o My Heart Can’t Keep Up With My Mind, sia che rimanga nei meandri della scarna piano-song come The Violence Of The Rose, Harcourt semplicemente spinge all’estremo le proprie peculiarità vocali e di musicista per riscrivere la grammatica di un nuovo indie-pop, che quando incontra anche un songwriting perfetto come nel caso di Strange Beauty, spiega perché è ancora presto per archiviare El Magnifico.

 

VOTO: 7

Nicola Gervasini

Nessun commento:

BETH GIBBONS

 Il primo album solista di Beth Gibbons: Lives Outgrown. Parla poco, ma quando parla fa parecchio rumore Beth Gibbons. Musa indiscussa della...