mercoledì 14 agosto 2024

MARINA ALLEN

 Marina Allen

Eight Pointed Star

(Fire Records, 2024)

File Under: Absolute Beginners

 

Marina Allen è solo una delle più giovani autrici di una lista ormai lunghissima di artiste, da Laura Marling ad Aldous Harding, fino a Angel Olsen o Courtney Barnett (ma ne dovrei citare davvero più di duecento), che hanno creato un onda tutta femminile di nuovo cantautorato che parte sempre da basi storiche solide (in genere potremmo dividere le “JoniMitchelliane” dalle “Laura Nyriane” o “CaroleKinghiane”, ma sempre lì si va a parare con i riferimenti), aggiungendo via via elementi che, a seconda dell’ispirazione, arrivano dalla dark/new wave (la sottocorrente delle “Katebushiane o Siouxiesiane”), come dal pop (Debbie Harry, ma persino Madonna, sono ancora i poster nelle camerette di molte di loro), dal folk e dalla country music, senza porsi troppi limiti.

 

In questo scenario l’americana Marina Allen si è mossa secondo un percorso direi quasi obbligato, con inizi di alt-folk scarno con l’EP Candlepower, l’affinamento degli arrangiamenti del primo album Centrifics, e ora questo Eight Pointed Star, dove in un soliloquio (suona quasi tutti gli strumenti lei, sotto al guida del produttore Chris Cohen), cerca una via più personale, e se vogliamo anche sperimentale, per la sua proposta musicale. L’album, 9 canzoni per mezz’oretta di musica, è un intenso viaggio attraverso testi dedicati ad alcuni artisti dilettanti che lei ha incontrato nel suo percorso, e di cui dice di sentirsi ancora parte, prima fra tutte la regista sperimentale Maya Deren a cui dedica l’ossessiva Deep Fake. Gli elementi musicali invece sono quelli di un folk elaborato, con voci e suoni ad intersecarsi e sovrapporsi, con qualche tastiera in più del solito (ma senza mai poter far parlare di vero e proprio uso di elettronica), il tutto a creare una avvolgente atmosfera quasi psichedelica. E se forse resta la sensazione che possa ancora spingersi oltre, brani davvero notevoli come Red Cloud o lo splendido finale di Between Seasons indicano che il percorso è quello giusto per lei.

 

La brevità dell’album evita forse di farsi venire a noia un disco che comunque evita i cambi di passo e i salti stilistici (Love Comes Back prova ad alzare il ritmo ma non esce dall’amalgama di suoni e voci complessivo). Il discorso generale da fare sarebbe magari notare come, con tutte le loro peculiarità, tutte queste cantautrici nella stragrande maggioranza dei casi giocano la carta dell’arrangiamento raffinato e studiato, della canzone intima ed eterea, e comincia a serpeggiare un po’ il dubbio che un certo nuovo manierismo affiori anche in quella che resta comunque la corrente musicale che più di tutte sta salvando la musica folk e derivati in questi ultimi anni. Normale che sia così, la Allen arriva quando ormai già tante colleghe sono avanti con la carriera, e si accoda alla schiera con un album che suona bello, ma è difficile dire quanto riuscirà a diventare anche importante. Intanto godiamocelo.

 

Nicola Gervasini

Nessun commento:

BETH GIBBONS

 Il primo album solista di Beth Gibbons: Lives Outgrown. Parla poco, ma quando parla fa parecchio rumore Beth Gibbons. Musa indiscussa della...