venerdì 3 aprile 2020

FRANK MIGLIORELLI

Frank Migliorelli & The Dirt Nappers
The Things You Left Behind
[Rave On records 2019]
frankmigliorelli.com

 File Under: power roots
di Nicola Gervasini (29/01/2020)
Nella ormai lunga tradizione di italo-americani dediti al blues o alla roots-music, Frank Migliorelli è solo uno degli ultimi arrivati, e come tanti viene dai dintorni di New York (lui abita a Croton-on-Hudson, piccolo paese sulle rive del fiume che attraversa la metropoli). The Things You Left Behind è il suo terzo album dopo City Eastern Serenade e Bass, Drums, Guitars & Organs del 2017 (mai titolo fu più programmatico), e lo vede in azione sempre con i fidi scudieri dei Dirt Nappers. E le cose che ci siamo lasciati indietro secondo lui sono quel bel jingle-jangle rock di marca “Elvis-Costelliana”, ma direi ancor più alla Marshall Crenshaw o Freedy Johnston (per citare i due migliori seguaci "costelliani"), che permea queste dieci canzoni, fin dall’iniziale title-track e dal singolo She Moves Like A Mistery, che in altre epoche qualche passaggio in radio se lo sarebbe magari anche guadagnato.

Un pub-rock antico forse, ma sempre fresco e attuale se suonato con convinzione, con anche alcune variazioni sul tema come le tinte blues regalate dal piano pulsante di Daniel Weiss a Take It Back, la cui fisarmonica rappresenta il valore aggiunto anche della ballata Vagabond Shoes. Ma il sound della band è caratterizzato anche dalla steel guitar di Ike “Booker” Heaphy che dona un tocco di Nashville-sound a I Wanna Know. E ancora si passa nelle romanticherie di She’s Not Coming Home, nel salsa-blues alla Santana di Key To Your Heart per arrivare al brano più importante, la tesa Only Here, contrappuntata dall’avvertimento “explicit” per il testo che si scaglia senza mezzi termini contro il mercato delle armi negli Stati Uniti. Il brano infatti è definito dallo stesso autore “una chiamata alle armi per distruggere la National Rifle Association”, tra le più accese sostenitrici della carriera politica di Donald Trump purtroppo, ed è una piacevole sorpresa trovare che ancora esiste qualcuno che scrive brani “di protesta”, sebbene difficilmente capaci di poter smuovere coscienze come riuscivano un tempo questo tipo di canzoni.

In ogni caso, al fine di far arrivare l’invettiva a più persone, nel finale del disco è presente una “Radio Safe Version” censurata nelle parole più forti per venire incontro alle limitate capacità di non scandalizzarsi per lo sproloquio del pubblico americano, con la censura del verso “Non abbiamo bisogno di armi per proteggere un posto dove ci si inginocchia e si prega, abbiamo solo bisogno di distruggere la fottuta NRA” ad esempio. Every Bartender in This Town Knows My Name è invece un divertente country che serve a far calare i toni e riportare il registro in modalità ironia, a chiusura di un disco frizzante e con quel sound da roots-music degli anni 80 che non ci stancheremo mai di amare.

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