martedì 1 febbraio 2022

MEGA BOG

 

Mega Bog

Life, And Another

(Paradise Of Bachelors. 2021)

File Under: Out of Focus

Avevamo già parlato di lei per il precedente Dolphine, già il quinto disco della sua carriera, ma il primo ad avere avuto una buona risonanza un po’ ovunque. Lei, Erin Elisabeth Birgy, in arte Mega Bog, era fino a quel momento una delle ormai tante cantautrici indipendenti figlie di nobili tradizioni al femminile (Joni Mitchell, Laura Nyro, e il solito pizzico di Kate Bush), ma con Dolphine sembrava voler abbracciare il mondo del nuovo art-pop etereo alla Weyes Blood o Angel Olsen. Ci pensa questo Life, And Another a scompigliare però tutto, un disco davvero complesso e finanche barocco nella produzione e nel suo buttare nel calderone ogni tipo di strumento suono, ritmo, ispirazione. Facile anche capire a volte a chi sia ispirata per unire una così composita tavolozza di colora, se nona quel David Bowie echeggiato non solo quando gli ruba addirittura un titolo  importante come Station To Station, non una cover, ma guarda caso il brano più immerso nell’elettronica con ben tre sintetizzatori “berlin-style” (nello strumentale Darmok ad accompagnare la sua chitarra ce ne saranno ben quattro), o il sax solo apparentemente stonato che appare  in Crumb Back, momenti sperimentali che fanno da contraltare alla conferma del suo amore per la musica brasiliana, evidenziata nell’iniziale Flower o in altri brani come Butterfly o la stessa title-track. Il tutto sempre con la sua voce eterea e un po’ gentilmente allucinata a fare da fulcro, tra una Suzanne Vega al risveglio e una Hope Sandoval o una Sophie Zelmani nei loro rari momenti vigorosi, e con la sua scrittura che ama l’espediente della serie di immagini che costruiscono una storia nella mente dell’ascoltatore, senza seguire apparentemente un filo logico (Maybe You Died). Musicalmente però il disco segue le visioni del produttore e percussionista James Krivchenia (dai Big Thief), che ama condire ogni attimo con percussioni di ogni tipo. C’è sicuramente parecchia carne al fuoco infatti, a volte persino troppa, perché la sensazione è che lo sforzo compositivo, sicuramente notevole, evidenzia sì una creatività nel pieno del suo apice, ma la frenesia poi di dimostrarsi anche un qualcosa di diverso dalle altre la porta spesso a perdere il fuoco del disco, che risulta essere un po’ lungo e frastagliato (certi abbozzi come Adorable o lo sconclusionato strumentale Bull Of Heaven aggiungono poco al piatto se non un  po’ di confusione in più ad esempio, ma anche la Obsidian Lizard che segue rallenta molto la tensione della prima buona parte del disco). Before a Black Te, ad esempio, è un episodio anche molto divertente, in cui Mega Bog si prodiga in varie voci tra il teatrale e il grottesco (dicevamo sopra di Kate Bush no?), ma conferma solo una sensazione di ricerca del colpo ad effetto che il finale più rilassato e convenzionale di Ameleon non riesce a cancellare. Seguitela in ogni caso, il lato B non del tutto riuscito di questo album non basta comunque a non considerarla una delle artiste più vive del momento.

 

Nicola Gervasini

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