domenica 31 gennaio 2021

MATT BERNINGER

 

La provincia americana, i National e Matt Berninger.

Sappiamo poco di Cincinnati qui da noi, medio-grande (circa trecentomila abitanti) centro perso nell’Ohio che ha la particolarità di prendere il nome da un console romano (Lucio Quinzio Cincinnato). Soprattutto sappiamo poco della sua scena musicale, sempre un po’ marginale e molto meno raccontata rispetto a quella di altre città statunitensi. I primi nomi veramente storici  arrivano solo negli anni ’90, quando dai locali della città uscirono gli Afghan Whigs o il combo roots degli Over The Rhine. Due band che in un certo senso aiutano a capire da dove arrivi il particolare stile di Matt Berninger, il leader dei National che nella città è nato, ha studiato (graphic design), e tutt’ora ha una delle sue dimore.

Recensione: Matt Berninger - Serpentine Prison

Book’s Record – 2020

I National li ha formati a New York, nella classica storia del ragazzo di una “Small Town” che emigra nella “Big City” in cerca di fortuna, ed è innegabile che nella musica offerta dalla band negli otto album pubblicati fino ad oggi scorra forte il suono della Grande Mela.

Serpentine Prison è l’esordio solista di Matt Berninger

Ma per il suo esordio solista, l’atteso Serpentine Prison, Matt Berninger ha in qualche modo spogliato la sua musica delle polveri della grande città, riportando il tutto in provincia, alla riscoperta dei suoni e dei sapori della America rurale. Non che Serpentine Prison possa essere definito un album interamente legato alle radici tout court, le sue aperture a volte persino ariose e pop lo rendono un disco anche vario nel suo spaziare nei generi più in voga in questi anni, ma il suo spirito sta forse proprio là in mezzo, tra la tradizione rivisitata in chiave alternativa della band di Greg Dulli e la pacatezza sospesa a metà tra country, folk e swing degli Over The Rhine.

I musicisti, le canzoni

Una voglia di andare più sul classico evidenziata fin dalla scelta dei collaboratori, con nientemeno che il divino Booker T Jones alla produzione (e naturalmente alle tastiere), Andrew Bird che incide con il suo violino, la bassista Gail Ann Dorsey che impreziosisce la bella Silver Springs. E comunque praticamente tutti gli stessi National a dare corpo a una serie di brani al solito intimisti e oscuri, come è suo stile.

Non che ci si allontani troppo dal seminato della sua band, ma quello che colpisce è che se la loro ultima fatica I Am Easy To Find si era fatta notare più per la ineccepibile forma che per la potenza dei brani, qui Berninger tira fuori dal cilindro alcune tra le canzoni più forti della sua carriera come One More Second o la stessa title-track, sia dal punto di vista lirico (Take Me Out of Town) che melodico (Distant Axis), e la cornice improntata al “Less is Better” che Booker T Jones gli ha costruito intorno è solo un grande valore aggiunto. Sarà dunque dura non chiedergli anche nei concerti dei National qualcuna di queste canzoni (Loved So Little potrebbe sposarsi bene col loro repertorio), a meno che il successo che questo album merita non sia l’inizio di una nuova e indipendente storia.

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