Bob
Mould
Here We
Go Crazy
(2025, Granary
Music)
File Under:
These Important Songs
Bob Mould è un intoccabile. Vale a dire uno di quei nomi su
cui si è sempre tutti d’accordo, che nessuno oserebbe mai contestare, al riparo
pure dalle manie di insensato revisionismo critico verso i mostri sacri che ha
imperato in questi anni di discussioni musicali nei social. Non si ebbe il
coraggio di metterlo in discussione neppure quando nel 2002 con Modulate azzardò
un abbraccio all’elettronica, non poi così memorabile col senno di poi, ma è
indubbio che il suo nome è sempre in cima quando si deve portare un esempio di integrità
artistica e qualità costantemente alta. Ma da 15 anni a questa parte serpeggia
tra le righe dei fans la sensazione che si sia un po’ arenato su un modello di
canzone (che resta poi lo stesso degli anni con gli Hüsker Dü), senza più porsi
il problema di nuovi azzardi.
Ho fatto una prova empirica, e ho ascoltato per la prima
volta questo nuovo Here We Go Crazy subito dopo aver riascoltato Silver
Age del 2012, considerando che in mezzo ci sono altri 4 album che hanno mantenuto
bene o male lo stesso registro di suoni, ed effettivamente è stato difficile
capire dove finisse il primo e dove iniziasse il secondo, se non per un leggero
calo di ritmo e ferocia sonora evidenziato dal nuovo capitolo.
Si potrebbe quindi davvero ipotizzare che Mould faccia ormai
da tempo lo stesso disco, sensazione amplificata dal fatto che di fatto stiamo parlando
di album registrati dalla stessa band e sempre con la stessa “ratio” produttiva,
e cioè con la sua chitarra iper-amplificata in primissimo piano, e la sezione
ritmica di Jason Narducy (basso) e Jon
Wurster (batteria), sempre loro ormai da anni, che lo segue con la medesima
veemenza ma sempre un po’ in sottofondo nel mix finale.
E sebbene qui brani come la title-track o Breathing Room
si assestino su un ritmo più riflessivo e autoriale e meno da garage-rock, e in
Lost Or Stolen riaffiori persino una chitarra acustica (ma nulla a che
vedere con il suono elettro-acustico che aveva reso il suo esordio solista
Workbook uno di suoi album più amati nel tempo), la solfa non cambia. Ma, e il “Ma”
fortunatamente c’è, il finale di questa premessa non è un superficiale
“ragazzi, ammettiamolo, Mould ormai rimesta la stessa minestra da anni”, perché
se lo consideriamo un numero Uno del mondo del rock alternativo (o underground,
o metteteci voi la definizione che ancora ritenete valida nel 2025), è perché
Mould non ha mai smesso di essere un Autore, e pure uno dei migliori.
Immaginate ad esempio se Leonard Cohen avesse fatto a tempo
registrare una sua versione di Hard to Get, o pensate se Joe Cocker
avesse notato il potenziale da mainstream-rock radiofonico di una When The
Heart is Broken, e davvero non si farebbe fatica a farlo. E questo funziona
perché i brani di Mould sono ancora ottimi innesti di ottimi testi (qui più
nostalgici del solito), e melodie “quasi-pop” che potrebbero vivere benissimo anche
se confezionati con una carta da pacchi diversa da quella che lui usa ormai da
anni. Here We Go Crazy è solo il nuovo capitolo di un lungo libro che forse
potrebbe anche cominciare a stancare qualcuno, perché poi sì, probabilmente lui
non cambia le impostazioni dell’amplificatore della propria chitarra da anni, e
credo che se ne guardi anche bene dal farlo, ma abbiamo 11 nuove canzoni di Bob
Mould, e non è mica facile trovarne di altrettanto belle anche nel 2025.
Nicola Gervasini