sabato 25 febbraio 2017

JOHN GORKA

John Gorka 
Before Beginning: The Unreleased I Know 

[Blue Chalk/Red House/IRD 2016]
www.johngorka.com
File Under: The Old New Nashville
di Nicola Gervasini (06/01/2017)
John Gorka non è mai stato troppo amato dai cultori di musica americana italiani, comprese forse anche le nostre pagine. I suoi toni pacati, di scuola James Taylor, lo hanno portato spesso, forse troppo spesso, a produzioni eleganti e formalmente ineccepibili, quanto anche leggermente fredde, quando non proprio noiose. A 30 anni circa dal suo esordio, i meriti del suo songwriting sono comunque riconosciuti, probabilmente perché la presenza di qualche valido seguace la si registra anche negli ultimi anni (uno su tutti: Amos Lee). Alla sua discografia è mancato sicuramente il breakthrough-record da portare nel cuore, persino negli anni 90, quando il suo nome comunque girava spesso tra gli adepti del folk, ma se dovessi consigliare una partenza per neofiti indicherei Out of The Valley del 1994 come l'album della maturità.

I suoi esordi con I Know del 1987 e il più celebrato Land of The Bottom Line del 1990 soffrivano ancora di una produzione un po'troppo studiata e più pop-oriented, la stessa che ritroviamo ad esempio nei dischi di Suzanne Vega e Shawn Colvin del periodo. Ma su I Know ora ci svelano un segreto: quello che già conosciamo fu la ri-registrazione di un album in verità già confezionato a Nashville con il produttore Jim Rooney (collaboratore stretto di Nanci Griffith, John Prine e Townes VanZandt), e pronto alla pubblicazione già nel 1985. E basta ascoltare questo Before Beginning: The Unreleased I Know[Nashville, 1985] per capire cosa è successo: il disco, registrato con uno stuolo di scafati session-men di Nashville, e impreziosito dalle voci di Shawn Colvin e Lucy Kaplansky, ha un bellissimo suono elettro-acustico che nel 1985 rappresentava davvero una rivoluzione, quanto però esattamente l'antitesi di quello che la country-music stava proponendo in quegli anni, in cui anche artisti come Emmylou Harris o Willie Nelson avevano provato ad aggiornare il proprio suono.

Per cui è logico pensare che per l'esordio, datato poi 1987, la casa discografica pretendesse suoni più moderni. Anche perché nel 1985 il mercato di queste canzoni era ancora relegato al solo giro della country-music, ma nel 1986 uscirono tutti in una volta gli esordi di Lyle Lovett, Steve Earle e Dwight Yoakam, e già l'anno successivo il mercato si era aperto ad un pubblico più rock-oriented. I Know, in questa prima versione, ha invece un suono molto variopinto, con fiati (nella title-track), violini (Out Of My Mind), sonorità che richiamano addirittura il New-York sound del Billy Joel di fine anni settanta (Downtown Tonight), oltre che un pugno delle sue inconfondibili ballate acustiche, tra cui spicca la splendida Geza's Wailing Ways. Viene quasi da pensare che probabilmente anche il resto della sua carriera sarebbe potuta essere leggermente diversa se I Know fosse uscito così, con questo sound già maturo, e che potremmo anche vedere come precursore del lato più soft e intimo del Ryan Adams che verrà. Invece Gorka sarà instradato verso lidi più auto-condiscendenti e di compromesso, facendo della semplicità una virtù invero non sempre così vincente.

Lo consiglio a chi non è mai andato troppo d'accordo con la sua produzione, ci troverete lo stesso artista leggero e sensibile di oggi, ma con tante idee in testa in più.

martedì 21 febbraio 2017

ROLLING STONES

Vederli invecchiare con dignità: è questo il sogno nascosto di ogni fan dei Rolling Stones. Magari seduti sulla più classica delle sedie a dondolo, in veranda, intonando vecchi blues con il poco fiato rimasto in gola. Le cose non stanno andando esattamente così: di fiato i quattro baldi vecchietti ne hanno ancora da vendere, ed è per questo che, anche se hanno ormai smesso da più di dieci anni di produrre nuove canzoni, ancora non sono finiti i faraonici greatest-hits tour a uso e consumo delle grandi masse. Ma le sedie sulla veranda non dondolano a vuoto: per tre giorni, alla fine del 2015, i quattro le hanno occupate per registrare nei British Grove Studios (il proprietario è Mark Knopfler) un piccolo revival-set di pezzi blues, e hanno pubblicato il tutto senza aggiunte nel nuovo album Blue And Lonesome (Polydor). Il rischio di una baracconata di fine carriera era alto, magari con una kermesse di ospiti inutili e una scaletta fatta di classici abusati e iper-noti.  Invece i quattro si sono fatti aiutare solo dagli amici più fidati (il produttore è sempre Don Was, e come al solito ci sono Darryl Jones al basso e Chuck Leavell al piano), e da un Eric Clapton presente giusto perché stava registrando nello studio accanto, e pareva brutto non invitarlo. E la scaletta è fatta di pezzi per veri intenditori del settore, con brani di Willie Dixon (ben due a chiusura del tutto, tra cui una devastante I Can’t Quit You Baby), Magic Sam (All Of Your Love, una delle sorprese migliori dell’album), Little Walter (I Gotta Go e Hate To See You Go), Memphis Slim (sua la title-track) e altri. Che sono poi quelle stesse canzoni che il giovanissimo Jagger portava sotto braccio nella stazione di Dartford quel  fatidico giorno del 1960, quando incontrò nuovamente il vecchio compagno di scuola Keith Richards, e insieme decisero di fondare una band per poterle suonare. Un cerchio che si chiude, ma più che altro una sentita e genuina rimpatriata tra musicisti ormai votati al freddo professionismo dei tour di rappresentanza, ma che sotto sotto restano prima di tutto dei grandi amatori della musica del diavolo. Certo, stavolta mancherà il singolo che finirà nelle pubblicità dei telefoni (come accadde con Streets Of Love nel 2005), ma chissà mai che anche Just Your Fool di Buddy Johnson, e soprattutto Ride’em Down di Eddie Taylor, possano raggiungere qualche giovane, anche grazie al video della seconda, che vede protagonista una irriverente e scatenata Kristen Stewart. Da notare anche come sia l’album che più evidenza la grandezza di Mick Jagger come perfomer di genere, vero mattatore con voce e armonica, felice di realizzare finalmente quel  disco che aveva pensato nel 1992 con i Red Devils, ma che mai vide luce. Keith Richards invece si mette al servizio della band, rinunciando persino a cantare almeno un brano come d’abitudine: sarà che il blues chiede disciplina e rispetto dei ruoli, sarà che questo è da sempre il vero schema vincente dei Rolling Stones.

Nicola Gervasini

BILL RYDER-JONES

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