giovedì 12 gennaio 2017

GREG LAKE

Se ne è andato lo scorso 7 dicembre a 69 anni Greg Lake, bassista del gruppo progressive più discusso degli anni settanta, nonché una della poche eccezioni al luogo comune del bassista silenzioso e fuori dalle luci della ribalta. Nella chimica degli Emerson, Lake & Palmer, se Keith Emerson era la funambolica star, lui era il vero motore creativo, o se non altro l’unico in grado di scrivere grandi canzoni oltre che complicate partiture, come dimostrò con Lucky Man o From The Beginning. Ma prima degli ELP lui aveva già volato altissimo nella prima incarnazione dei King Crimson, in cui militò giusto in tempo per lasciare lo zampino in capolavori come Epitaph. Sciolti gli ELP, negli anni ottanta la sua carriera deragliò, prima con un paio di tentativi solisti al limite dell’hard rock con il chitarrista Gary Moore, poi con gli improbabili tentativi di reunion (prima gli Emerson, Lake and Powell, poi l’infelice comeback della formazione originale negli anni novanta), vivendo di revival-tour e ingaggi da session-man di lusso. Nel gennaio del 2016 il prestigioso Conservatorio Nicolini di Piacenza gli ha assegnato una Laurea Honoris Causa per il talento compositivo, unico autore rock ad ottenerla insieme a Peter Hammill, e non è detto che due mesi dopo il nemico/amico Emerson, uno che per tutta una vita ha cercato il riconoscimento del mondo classico, non sia morto anche un po’ roso dall’invidia.
Nicola Gervasini


venerdì 6 gennaio 2017

AMANDA BERGMAN

Amanda Bergman 
Docks
[
Ingrid/ Goodfellas 
2016]
www.amandabergman.se
 File Under: Coming from the cold

di Nicola Gervasini (14/12/2016)
Non deve essere facile chiamarsi Bergman in Svezia, e pretendere di essere facilmente riconosciuta. Per fortuna di Amanda il suo ambito non è il cinema, regno delle due maggiori icone artistiche del popolo svedese (Ingrid e Ingmar), bensì la musica, ma è significativo che anche lei per i suoi primi passi avesse scelto vari nickname (Hajen, Jaw Lesson), fino ad adottare il nome d'arte di Idiot Wind per le prime prove discografiche, nome la cui derivazione spero di non dover spiegare proprio su queste pagine. Le connessioni dylaniane non finiscono qui, visto che Amanda è stata moglie di Kristian Matsson, meglio noto come The Tallest Man on Earth, uno che con i dylanismi ci ha campato fin da sempre.

Dal 2013 però Amanda ha intrapreso una doppia nuova carriera: da un lato la band degli Amason (che in Svezia godono anche di buone vendite), dall'altro l'avventura a proprio nome, che dopo un paio di singoli, trova il suo completo esordio con questo Docks. Dove il riferimento non è certo Dylan, quanto il più classico folk etereo di marca scandinava alla Emiliana Torrini o Sophie Zelmani, per tirare in ballo voci femminili alquanto simili, o alla Josè Gonzalez, per trovare un riferimento musicale ancora più adatto. Potere ai silenzi, ai tempi lenti, ai suoni elettroacustici, al sussurrato e al solito pizzico di elettronica: la Bergman utilizza l'intero campionario dell'indie-folk degli ultimi anni, come anche la batteria martellante di Flickering Lightsche tanto ricorda il drumming di molte canzoni dei War on Drugs. E' questo il primo sussulto di ritmo e di melodie anche alquanto pop (il brano è l'ultima collaborazione registrata con l'ex marito Matsson), dopo che la sequenza di brani inziali cerca atmosfera (GoldenTaxis) o autorialità (FalconsQuestions) con mestiere ma sempre troppi sussulti.

Dosato tra sensazioni maloniche tipiche della scena scandinava (Sirens) e momenti di folk più leggero e scanzonato alla SuzanneVEGA (Windshield), il disco si ascolta con piacere, anche se i brani fanno una certa fatica ad imprimersi nella mente, come se sul tutto si fosse posata una patina impenetrabile di freddezza. Il modo di cantare della Bergman è matematico, senza tentennamenti, come se le emozioni raccontate nei testi venissero ripulite prima di arrivare alle nostre orecchie, e questo è il difetto più evidente di Docks. Forse proprio nella bonus track Desolation si lascia finalmente un po' andare, ma proprio la collocazione quasi nascosta della canzone rende bene chiaro che un po' quasi se ne vergogna.

Interessante, ma a questo punto della ormai lunga e autorevole storia del folk nordeuropeo, servirebbe qualche slancio creativo in più per uscire allo scoperto.

BILL RYDER-JONES

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