mercoledì 28 marzo 2012

MIAMI & THE GROOVERS - Good Things



Miami & The Groovers
Good Things
[Miami & The Groovers 2012]

www.miami-groovers.com
www.myspace.com/miamiandthegroovers

File Under: blue collar rock, bar-bands

di Nicola Gervasini (09/03/2012)



Non si usano più i bollini sui cd, peccato, perché questo Good Things avrebbe bisogno di una premessa fin dalla copertina. Nessun Parental Advisory per liriche esplicite, tranquilli, i versi di Lorenzo Semprini parlano di una vita dura, ma lo fanno con parole semplici e politically correct. Ne tanto meno nessuna dichiarazione di chissà quante copie vendute, i Miami & The Groovers sanno già chi è e quant'è il loro pubblico. Perchè chi li conosce sa che il posto migliore dove comprare un loro cd è ad un loro concerto, magari in quel meeting di Rimini chiamato Glory Days che da anni (quest'anno sono 14) disturba i ciellini con urla di gioia e di rivalsa. Ecco, isolate le ultime due parole, "gioia" e "rivalsa", e avete tutta l'essenza del blue-collar rock che Semprini e soci suonano con devozione quasi accademica. Da qui il bollino che manca, qualcosa come Intellectuals Advisory: Epic Lyrics, un avvertimento che tenga lontano chi non è mai entrato nell'etica/epica di - per dirla con le loro stesse parole - "storie di persone che non vogliono arrendersi (No Surrender) e vogliono continuare a camminare (Born To Run o Walk Like A Man, a seconda della fretta) e sognare (la Promised Landovviamente) nonostante siano stati presi a pugni dalla vita" (come The Wrestler insomma).

La 'Bruce Springsteen Way Of Life' dunque, certo, sempre lui, macigno pesante che grava chissà perché in Emilia Romagna più che altrove, faro di una generazione di appassionati italiani che trova nei Miami & The Groovers la local band perfetta per dar vita alla feste rock di provincia, piccoli bonsai dei concerti del Boss, dove vige un'unica regola: scatenarsi, dimenticare il presente, sognare un futuro. Non c'è spazio per fare i critici musicali in tutto ciò, Good Things regala quello che promette, anche se stavolta i Groovers ci hanno messo davvero qualcosa di più. Innanzitutto chitarre elettriche che suonano credibili (complimenti a Beppe Ardito e a chi l'ha registrato), come raramente in Italia siamo abituati a sentire, spesso più sulla scia di Del Fuegos e Replacements che della E-Street Band. Poi qualche brano che, nella sua assoluta prevedibilità di genere, comincia a far capire che più di dieci anni on the road stanno facendo di Semprini un frontman sempre più plausibile e magari più attento a cercare di essere anche "autore" (ci riesce in molti casi, da Always The Same al bel duetto con Riccardo Maffoni in Walkin'All Alone).

Il resto però è festa rock (The Last Rock And Roll Band, We're Still Alive), quella in cui magari non fai troppo caso ai particolari e a qualche giro strasentito (On A Night Train, Burning Ground). Il vero pregio di Good Things è quello di essere stato pensato e registrato per essere un'opera con vita propria, e non come semplice bigino per ripassare le canzoni prima del solito bagno di sudore che i Miami & The Groovers garantiscono in ogni palco che calcano. Se continuano così, sono pronti per un nuovo bollino: "Listen Without Prejudice"



lunedì 26 marzo 2012

BAND OF SKULLS - Sweet Sour

Band of Skulls
Sweet Sour
[
Electric Blues Recordings/ Vagrant
2012]

www.myspace.com/bandofskulls
www.vagrant.com


File Under: hard-blues, alt-rock

di Nicola Gervasini (20/02/2012)

Piccolo fenomeno di successo commerciale venuto su dal nulla nel 2009 con il disco d'esordio Baby Darling Doll Face Honey (il singolo I Know What I Am, una sorta di Seven Nation Army veduta e ricorretta, è finito anche nel videogames Guitar Hero per farvi capire), i Band Of Skulls ci hanno messo quasi tre anni ha partorire Sweet Sour, il seguito di una nuova epopea nata in Inghilterra a suon di vecchi riff di classic-hard rock e melodie eteree da new-indie-rock. Immaginate dunque un misto tra White Stripes, Black Mountain, Heartless Bastards, e se provate ad immaginare la melodia di Bruises sorretta da un tappeto folk invece che da queste sventagliate hard, non sarebbe difficile pensare al brano come appartenenete al repertorio dei Fleet Foxes.

Sta tutto nella contraddizione tra canzoni da new-folk e la struttura da power-trio alla Cream (o diremmo più i Mountain, per arrivare anche ai Black Keys magari), basata sulla chitarra di Russell Marsden e la vocalità sognante della bassista Emma Richardson, la sorpresa musicale dei Band Of Skulls, ma questo secondo capitolo evidenzia che il trio (completato dal batterista Matt Hayward) ha buone cartucce da sparare anche in termini di scrittura. Piace la complessità della title-track che apre il disco, incanta la melodia folk di Lay My Head Down, magari si nota che Jack White avrebbe fatto di meglio con l'hard-blues del singolo The Devil Takes Care Of His Own, mentre quando gestiscono una melodia quasi-pop in Wanderlust riescono ad evidenziare tutto il loro bagaglio artistico.

L'album trova nelle prime sei tracce i suoi momenti migliori, perchè da Navigate (troppo lunga e monotona) in poi il ritmo cala, ci si ritrova con qualche episodio che proprio non decolla (You're Not Pretty But You Got it Going On oHometowns) e bisogna aspettare l'incipit zeppelinaino di Lies per ritrovare l'adrenalina giusta, anche se non proprio un brano memorabilissimo. Chiude bene il disco la vaporosa Close To Nowhere, a conferma di un ottimo potenziale ancora tutto da sviscerare. Potrebbe essere proprio la discontinuità di questo Sweet Sour una buona ragione per non perderli mai di vista, magari ignorando quanto il loro nome venga amplificato da quel poco che rimane del marketing discografico, che spinge sempre per inserirli nelle colonne sonore dei telefilm (le vere radio degli anni 2000?).


giovedì 22 marzo 2012

CHUCK PROPHET - Temple Beautiful

Chuck Prophet
Temple Beautiful
[
Yep Roc
2012]

www.chuckprophet.com
www.yeproc.com


File Under: garage-rock, roots-rock

di Nicola Gervasini (23/02/2012)

In occasione dell'uscita di Let Freedom Ring Chuck Prophet aveva fatto notare che i suoi dischi solisti vendevano sempre meno e non beneficiavano di adeguata distribuzione. Per cui, visto che a seguirlo sono i soliti pochiaficionados, ora si sente libero di produrre la musica che gli piace, quando gli piace. Si comprende così la piega scanzonata, diciamo pure scazzata, presa da questo Temple Beautiful, disco che fin dal primo ascolto sembra quasi più il parto di una improvvisata session da cantina. D'altronde Prophet sa che la sua discografia non ha fatto storia come la sua carriera con i Green On Red, e poche enciclopedie del rock si ricorderebbero di quanto album comeBalinese Dancer o Homemade Blood abbiano riscritto i codici del roots-rock negli anni 90. Poco male, il nostro sembra accontentarsi del ruolo di sparring-partner di Alejandro Escovedo e altri eroi minori che si servono delle sue sei corde, mentre per la nuova sortita solista stavolta si è divertito a confezionare una sorta di concept album dedicato a San Francisco e ai suoi eroi passati ("un disco nato a San Francisco, fatto da uno di San Francisco che parla di San Francisco" lo definisce lui stesso).

Ma ancora più divertente è il metodo scelto per promuovere il disco in città, visto che sul suo sito potrete trovare le informazioni di come partecipare al Temple Beautiful San Francisco Bus Tour, con una vera guida turistica che vi commenterà le vie di Frisco al suono della banda di Chuck che intratterrà tutti con 90 minuti di musica (con ospiti a sorpresa). Visiterete così una delle più belle città del mondo sentendo le storie di miti del baseball locali in Willie Mays is Up at Bat (e la somiglianza del disco con i due album dei Baseball Project di Steve Wynn e Peter Buck era già evidente prima di arrivare a questo brano), omaggi al simbolo dell'orgoglio gay della città Harvey Milk (White Night Big City) o al mitico Imperatore Norton (Emperor Norton in the Last Year of His Life), un folle della città che nel 1959 si autoproclamò Imperatore degli Stati Uniti (arrivando pure a decretare lo scioglimento del Consiglio di Stato) tra l'ilarità della stampa, ma, a sorpresa, con un seguito talmente largo da divenire un simbolo del populismo ante-litteram.

Musicalmente l'album omaggia i tempi del garage-rock della West Coast, e la presenza di Rob Loney, mitica voce dei Flamin' Groovies, in una title-track che pare un pezzo dei Ramones, non è assolutamente un caso. Probabilmente rispetto ai due precedenti lavori Chuck perde un po' di vista le buone regole del songwriter e lascia troppo spazio all'improvvisazione, anche se in alcuni casi c'è di che esaltarsi (Castro Halloween sta già mietendo parecchi consensi in rete). Al di là del grande interesse dei testi, Temple Beautiful non è il suo album migliore, eppure è già quello che sta avendo più successo: a volte basta davvero solo trovare l'idea giusta.


martedì 20 marzo 2012

Booka And The Flaming Geckos - The Not So Meaningful Songs In The Life Of Jeremy Fink

Booka And The Flaming Geckos
The Not So Meaningful Songs...
(Loudhouse 2012)

desert music, country-bluegrass


E chi l'ha mai detto che la musica roots non possa anche svolgere funzioni da ambient-music? Abituati a considerare il suono rurale non certo come "musica da aeroporti" (per dirla alla Brian Eno), si rimane spiazzati quando si ascolta un prodotto come The Not So Meaningful Songs In The Life Of Jeremy Fink, cd di una fantomatica formazione chiamata Booka and The Flaming Geckos. Che altro non sono se non la creazione di Booka Michel, specialista in percussioni e conga sentito spesso ad accompagnare Butch Hancock o eroi "minori" come Troy Campbell, Paul Metsa e David Olney, il quale nel 2009 ha dato vita a questa strana formazione per confezionare una colonna sonora di un film indipendente (Baghdad Texas, del regista David H. Hickey ). Un connubio riuscito, visto che il combo replica ancora con un'altra soundtrack, stavolta per un progetto cinematografico non ancora annunciato nelle sale. Sono spezzoni di "Piedmont Blues, Civil War-era music, Bluegrass, Folk e Acid Western" suonati da nomi a noi ben noti come la bella steel-guitarist Cindy Cashdollar, il fido bassista di Joe Ely Glenn Fukanaga, il violinista e mandolinista degli Asleep At The Wheel Dennis Ludiker e la chitarra di Kenny Franklin (anche lui sentito con Ely e Lloyd Maines). Una bella jam session di grandi professionisti della musica di frontiera insomma, che pur nella sua non irrinunciabilità fin dal concepimento, mancava nei vostri scafali.
(Nicola Gervasini)

www.loudhousemusic.com

domenica 18 marzo 2012

BOCA CHICA


Boca Chica
Get Out Of Sin City
(Boca Chica 2011)

indie-country


Chi siano Hallie Pritts e la sua affollata (7 i componenti) creatura artistica chiamataBoca Chica lo avevamo detto presentando il precedente lavoro Lace Up Your Workbooks. Ragazza amante dello stile dimesso da pura indie-culture anni 2000, della strumentazione di marca roots (banjo, pedal steel guitars, acustiche, wurlitzer e l'ormai tragicamente immancabile ukulele gli orpelli che regnano nei suoi dischi), la Pritts prosegue con questo Get Out Of Sin City il percorso intrapreso nel 2005, inserendo rispetto ai lavori precedenti toni più scanzonati e una nuova vena "poppish" che fa sì che sia impossibile non fischiettare la baldanzosa Sin City o muovere il piedino quando cinguetta Dear Audrine. Dieci brani che scivolano via senza problemi e troppi clamori, tra qualche cover di amici outsiders (la coinvolgente You're The Blues di Nik Westman), una Aretha Franklin portata in gita in campagna con l'evergreen Do Right Woman, cowboy-songs con fiati mariachi (Long Range Guns) o deliziosi schizzi folk (Marlene). Tutto molto carino e orecchiabile, anche se cominciamo a pensare che l'ostinata modestia di questi artisti rappresenti un freno non indifferente alla possibilità di uscire dal mondo dell'auto-gestione.
(Nicola Gervasini)


bocachica.bandcamp.com

giovedì 15 marzo 2012

MARK LANEGAN BAND - Blues Funeral


Mark Lanegan Band
Blues Funeral
[
4AD/ Self
2012]

www.marklanegan.com
www.4ad.com


File Under: techno blues

di Nicola Gervasini (13/02/2012)

Partiamo dal classico pelo nell'uovo: Mark Lanegan alla svolta synth-80 stavolta arriva tardi, quasi in affanno, diremmo pure in maniera scontata. Basta anche non uscire dal nostro orto legato alle radici per renderci conto che il sound tutto tastiere, drum machines e suoni nitidi e iperventilati sta inondando i lavori di tanti artisti (Okkervil River, Bon Iver …), ma se considerassimo anche il mondo musicale che generalmente non passa sulle nostre pagine per identità di genere, allora risulterebbe ancor più evidente come l'80-like sia l'hype del momento. E - aggiungiamo - non è certo di questo Blues Funeral la scoperta che se al mood freddo e robotico di un sintetizzatore si oppone una voce calda e profonda il risultato può essere esteticamente grandioso, visto che il maestro Leonard Cohen insegnava la materia già quando il giovane Lanegan ancora sbraitava in una cantina di Seattle.

Questo per dire che Blues Funeral non inizia e finisce nulla, semplicemente si butta in una operazione degna del David Bowie che fu, dove l'artista superiore al volgo profano continua a guardarsi intorno con adeguata modestia invece di trincerarsi nel proprio rassicurante genio personale. Prevedibile anche questo, quasi quanto prospettare nel futuro di Lanegan un ritorno al rock roccioso proto-grunge degli Screaming Trees (magari addirittura una reunion…), visto che già alcuni episodi di questo album (Riot In My House, Quiver Syndrome) indicano che la strada riporta in quel punto. Quelli più classic-rock sono però i punti deboli di questo ennesimo suo buon album, quasi a dire che il nostro a furia di giocare al folksinger (qui continua a farlo in Deep Black Vanishing Train) ha perso un po' l'abitudine a duellare con le chitarre elettriche. I tanto chiacchierati arrangiamenti techno-pop invece finiscono per risultare più o meno riusciti, perché ad una base che chiunque potrebbe ricreare in casa anche con un Bontempi ben programmato (Tiny Grain Of Truth e Harborview Hospital), si oppone sempre un artista e un autore ancora capace di fare la differenza (Gray Goes Black su tutte), sempre più consapevole di avere nella voce l'arma migliore, e per questo sempre più propenso ad usarla come strumento principale.

Basta anche sentirlo ruggire tout est noir mon amour in The Gravedigger's Song per vibrare di piacere, e persino quando lui crede di provocarci con una dance-song degna dei Pet Shop Boys (Ode To Sad Disco) alla fine riesce solo a risultare intrigante come al solito. Non bastano dunque questi suoni ad ammazzare il blues che è in lui, che qui vive sempre alla grande nelle corde della lungaBleeding Muddy Water o in Phantasmagoria Blues, brani come ne sono stati scritti già mille, che Lanegan però nobilita con la sua lugubre recitazione. I grandi artisti sono quelli che, quando magari l'ispirazione non è al top, sanno copiare meglio dagli altri: lo sapevamo già, Lanegan ce lo sta soltanto confermando.


lunedì 12 marzo 2012

CRAIG FINN - Clear Heart Full Eyes

Craig Finn
Clear Heart Full Eyes
[
Vagrant/ Full Time Hobby
2012]

steadycraig.tumblr.com
www.vagrant.com

File Under: : songwriter, roots-rock

di Nicola Gervasini (01/02/2012)

Non abbiamo mai avuto dubbi nell'indicare Craig Finn come una delle più importanti personalità del nuovo rock americano degli anni duemila, semmai qualche perplessità nel considerare i suoi Hold Steady una garanzia, visti i recenti sviluppi stilistici. La sua band ha praticamente scritto due manifesti di una rinascita di un certo suono, nato in bilico tra rock and roll e blue-collar music (Separation Sunday e Boys and Girls Of America), riuscendo ad unire testi intelligenti e letterari e un atteggiamento per nulla spavaldo, in grado di far digerire soluzioni da arena-rock anche al più puzzecchioso mondo della musica alternativa. Se già Stay Positive nel 2008 evidenziava che la penna di Finn stava cominciando ad essere migliore del suono prodotto dalla band, la contraddizione è divenuta evidente nel successivo Heaven Is Whenever, in cui gli arrangiamenti cominciavano a rasentare la pura banalità, mentre il songwriting si faceva sempre più convincente e volto ad essere anche "scrittore", oltre che frontman.

Logica conseguenza dunque la fuga solista del leader, e ancora più ovvio l'ottimo risultato: libero dall'obbligo di rispettare il suono di un ensamble affiatato, Finn si affida a vari session-men occasionali della scena roots di Austin e si ritrova libero di adottare un suono più elaborato e personale. Merito anche del produttore Mike McCarthy (Spoon, ma anche Patty Griffin), abile intessitore di trame elettro-acustiche infarcite di chitarre acide e suoni metropolitani. Clear Heart Full Eyes segue dunque la via giusta verso un nuovo roots-rock degli anni dieci, dove gli elementi in gioco sono vecchi, ma la loro fusione risulta sempre fresca. E ha la fortuna dei grandi incipit, grazie ai cinque minuti abbondanti di Apollo Bay, tra riverberi, feedback e la sua voce narrante a creare una tensione da applausi. Finn con l'età sta sempre più sfruttando la teatralità della sua voce, puntando sempre più spesso su modalità parlate. In When No One's Watching ad esempio narra la storia di una separazione di coppia con il piglio di chi si ritrova al bar a raccontarla ad estranei, con un effetto che può ricordare molto il Lou Reed della maturità. In ogni caso il disco non rinuncia al rock, con una No Future che sembra una versione mainstream di un brano degli Husker Du, mentre New Friend Jesus riserva nuove venature country-rock. Jackson invece si butta su un riuscito dialogo tra una rozza chitarra elettrica e tastiere e synth vari, creando il giusto background ad una tragica storia di tre amici in fuga.

La varietà è dunque il primo pregio del disco, capace di passare dalle trame acustiche di Terrified Eyes all'incedere tetro di Western Pier, dal rock-blues del singolo Honolulu Blues e di Rented Roomalla bellissima classic-ballad Balcony. Chiusura con le note sofferte di Not Much Left Of Us, a dimostrazione di come la sua sgraziata vocalità sappia seguire una melodia emozionando come i grandi vocalist. Non è ancora chiaro se questo esordio sia l'inizio di una nuova carriera o solo una doverosa pausa di riflessione nella storia degli Hold Steady, ma è sicuro che Finn è stato capace di firmare il suo disco della raggiunta maturità al primo colpo e in piena solitudine, e, quasi quasi, se continuasse così...



sabato 10 marzo 2012

SCOTT MATTHEW


SCOTT MATTHEW

TO LOVE IS TO LIVE, TO RECEIVE IS TO GIVE

Glitterhouse Records

***

To Love Is To Live, To Receive Is To Give è un prodotto che vent’anni fa si sarebbe permesso solo alle grandi band nel pieno del successo, quando magari, in mancanza di nuovo materiale da buttare alla folla, si tergiversava con prodotti assemblati con materiale di scarto e live-tracks particolarmente riuscite. Oggi invece nell’era della discografia indipendente capita che anche un outsider come Scott Matthew possa pubblicare grazie alla Glitterhouse una sorta di diario di viaggio della sua tournee, proprio a ridosso del suo ultimo lavoro in studio Gallantry's Favorite Son, un disco che l’anno scorso ha ricevuto buoni consensi (anche se pochi se ne sono ricordati in sede di classifiche di fine anno). Matthew d’altronde è una sorta di Sam Beam (Iron & Wine) australiano, attivo dal 2005 in piena moda indie-folk, e la sua lunga peregrinazione europea del 2011 è stata anche l’occasione di una pubblicazione antologica per il mercato europeo da vendere solo ai concerti e per questo prodotto che documenta un’esibizione live più materiale di varia provenienza, per il quale è stata invece decisa anche una distribuzione nei negozi. Si parte con una Devil’s Only Child tratta dal suo ultimo album, giusto per riprendere il discorso, e si passa a due registrazioni molto interessanti (l’acustica Community e la sofferta piano-song Abandoned) che evidenziano la sua potenza live. Anzi, il concerto qui riportato (registrato per una radio viennese) dimostra che forse al di fuori dalle mura di uno studio la sua voce riesce a risaltare maggiormente. Atmosfere cupe e soffuse la fanno da padrone, sonorità caratterizzate spesso dal suo ukulele, oltre al piano e il contrabbasso di Eugene Lencio e Sam Taylor, i due fidati session man che lo hanno seguito nel corso del tour. Taylor poi è il valore aggiunto anche come seconda voce (ottimo l’intreccio intessuto per Duet). Oltre ai sei brani del concerto, il cd presenta anche un video in bianco e nero girato dal fotografo berlinese Michael Mann, autore della lunga serie di fotografie della tournee inserite nel bel booklet (comprese quelle scattate in occasione di un concerto nella nostra Ferrara). Per gli ancora pochi fans, e soprattutto per chi se lo era perso e ne vuole fare la conoscenza.

Nicola Gervasini

sabato 3 marzo 2012

RICH HOPKINS & THE LUMINARIOS

Rich Hopkins & Luminarios
Live at the Rock Palast Crossroads Festival
[
Blue Rose Cd+Dvd
2011]

www.sanjacintorecords.com
www.bluerose-records.de


File Under: 'Crazy Horse' rock

di Nicola Gervasini (05/01/2012)

Alla Blue Rose se li coccolano davvero i propri artisti. E' evidente che non c'è nessuna logica di mercato nelle scelte dell'etichetta tedesca, la passione traspare anche solo da come riescono a promuovere artisti che spesso sono anche al di sotto del sottobosco della roots-music americana. Un segno di questo amore per la musica che promuovono è la recente insistenza dell'etichetta nel pubblicare live-album, spesso ancora a ridosso dei prodotti in studio, quasi a voler gratificare la fedele audience europea che tiene in vita la carriera dei molti nomi della loro scuderia. Ultimamente sono usciti registrazioni on stage di Israel Nash Gripka ed Hank Shizzoe, pochi mesi fa su queste pagine parlavamo dei live di Todd Thibaud e Leeroy Stagger, tutti prodotti al limite dell'artigianato discografico che documentano l'intensa attività live di questi artisti di nicchia.

Non poteva mancare all'appello Rich Hopkins, vera icona della serie B del rock americano, chitarrista sulla strada da più di vent'anni con la sua formula a metà tra un set di Neil Young con i Crazy Horse e una festa tex-mex di Doug Sahm. Live at The RockPalast Crossroads Festival è la fedele registrazione (in doppio cd con dvd annesso) della serata del 22 ottobre 2010, un set in cui Hopkins ha infiammato il palco con i suoi Luminarios. La spina dorsale della scaletta è costituita dai brani del suo ultimo lavoro (El Otro Lado), ma l'unione con alcuni suoi vecchi cavalli di battaglia rende ancora più evidente la simpatica immobilità della sua proposta, ancorata da anni ad un concetto di "attacca la spina e suona" che bada poco ai particolari. Potete dunque dividere i titoli tra quelli che guardano più a sud come Paraguay, Soul Leecher (El Paso) o Guajira e quelli dove invece è un big-rock di matrice mainstream a farla da padrone (Love is a Muse, Dirt Town).

I Luminarios seguono senza mai rubare la scena al padrone di casa, non esistono virtuosi tra il chitarrista Jon Sanchez o la sezione ritmica di Gorge Duron e Ken Andree, al massimo il diversivo arriva dalla voce di Liza Novak, che sgrezza le melodie come può e imbastisce qualche delizioso duetto come in Matthew Sweet. La registrazione non è eccelsa, quasi da instant-live, per cui quasi meglio ascoltare il tutto dal dvd, che non ha scene spettacolari da offrire (la band ha una presenza scenica decisamente dimessa), ma un suono più pulito. Se vi manca il personaggio all'appello dei vostri cd, prendete questa uscita come un valido "greatest hits" di un vecchio leone che di vere hit non ne farà mai, altrimenti decidete pure secondo passione. Lui vi ripagherà con la stessa moneta.


giovedì 1 marzo 2012

Oh No! Another Dylan Cover!

AA.VV.
Chimes Of Freedom - The Songs Of Bob Dylan
Honoring 50 years of Amnesty International

[Amnesty International 2012]


music.amnestyusa.org
www.bobdylan.com


di Nicola Gervasini (08/02/2012)


Permettetemi una statistica non supportata da alcuna prova empirica: con la sicurezza di sbagliarmi di pochissimo, posso tranquillamente dichiarare che il 99% degli artisti americani ha almeno una volta nella vita interpretato un brano di Bob Dylan. Magari solo durante un concerto, oppure ufficialmente su un loro disco, o su uno dei mille, anzi - ora con questo - mille e uno tributi all'artista americano culturalmente più influente del secolo scorso. Non è un mistero che il conto in banca di Mr. Zimmerman sia rimpinguato più dai proventi del copyright che dalle effettive (e solitamente esigue) vendite dei suoi dischi. Rileggere un pezzo di Dylan d'altronde è facile e alla portata di tutti, anche perchè non esiste un originale con cui confrontarsi visto che neppure il suo stesso autore è mai stato in grado di rifare i propri pezzi esattamente come appaiono su disco.

Per questo tutte le cover di Dylan appaiono buone e credibili, perché ognuno può metterci del suo senza paura di sfigurare, eppure sono poche quelle veramente in grado di riscrivere l'originale tanto da sostituirsi nell'immaginario comune. Ci sono i riusciti i Byrds quando fecero sì che Mr Tambourine Man diventasse un "loro" pezzo, così come Jimi Hendrix inventò per All Along The Watchtower un riff che rimase appiccicato al brano in ogni versione a venire, anche dello stesso Dylan. Persino i Gun's N'Roses riuscirono a spazzare via 15 anni di cover di Knocking On Heaven's Doorstendendone la lettura definitiva e oggi più nota e abusata.

Tutto questo per dire che ancora oggi questo deve essere il metro di giudizio per giudicare una cover di sua maestà Bob, pure quando Amnesty International decide di festeggiare i propri 50 anni pubblicando un monumentale cofanetto quadruplo con 75 riletture nuove di zecca (più un ripescaggio di Johnny Cash con base ri-registrata dagli Avett Brothers che apre il tutto) che coinvolgono artisti pescati da ogni nicchia, dalla scena indipendente fino ad arrivare ai detestabili marchettari da classifica come i Maroon 5. Una sbrodolata che sovrasta anche quella della colonna sonora del film I'm Not There in termini di mole, pur non eguagliandone la qualità generale. Tutti ci mettono impegno, anche nel cercare brani minori e poco calpestati (sempre che ne esistano ancora), fornendo versioni curiose (riconoscereste Pete Townshend dietro questa Corrina Corrina in versione ninna nanna?), improbabili (la Love Sick dei Mariachi El Bronx proprio non sta in piedi), ovvie (Diana Krall che appiattisce Simple Twist Of Fate), semplicemente evitabili (qualcuno impedisca ad un indigeribile Sting in estasi da gorgheggi classici di avvicinarsi ad uno spartito di Dylan!), qualche piacevole sorpresa (bravi gli Airbone Toxic Event a tenere alta la tensione della non facile Boots Of Spanish Leather) e rari numeri da applausi (l'azzeccatissima No Time To Think della Belle Brigade).

Globalmente però nessuno trova il colpo di genio in grado di rigenerare un testo, per cui a voi il piacere di giocare al "mi piace" o "non mi piace" per una modica cifra che andrà alla buona causa di Amnesty International. Tanto non sarà certo questa l'ultima carrellata di omaggi per Dylan (provate a pensare cosa ci sommergerà quando - speriamo più tardi che mai - il nostro lascerà questa terra…), per cui sappiate che non finisce qui.

:: La scaletta del tributo

DISC 1
Johnny Cash Featuring The Avett Brothers - One Too Many Mornings // Raphael Saadiq - Leopard-Skin Pill-Box Hat // Patti Smith - Drifter's Escape // Rise Against - Ballad of Hollis Brown // Tom Morello The Nightwatchman - Blind Willie McTell // Pete Townshend - Corrina, Corrina // Bettye LaVette - Most of the Time // Charlie Winston - This Wheel's On Fire // Diana Krall - Simple Twist of Fate // Brett Dennen - You Ain't Goin' Nowhere // Mariachi El Bronx - Love Sick // Ziggy Marley - Blowin' in the Wind // The Gaslight Anthem - Changing of the Guards // Silversun Pickups - Not Dark Yet // My Morning Jacket - You're A Big Girl Now // The Airborne Toxic Event - Boots of Spanish Leather // Sting - Girl from the North Country // Mark Knopfler - Restless Farewell

DISC 2
Queens Of The Stone Age - Outlaw Blues // Lenny Kravitz - Rainy Day Woman # 12 & 35 // Steve Earle & Lucia Micarelli - One More Cup of Coffee (Valley Below) // Blake Mills - Heart Of Mine // Miley Cyrus - You're Gonna Make Me Lonesome When You Go // Billy Bragg - Lay Down Your Weary Tune // Elvis Costello - License to Kill // Angelique Kidjo - Lay, Lady, Lay // Natasha Bedingfield - Ring Them Bells // Jackson Browne - Love Minus Zero/No Limit // Joan Baez - Seven Curses(Live) // The Belle Brigade - No Time To Think // Sugarland - Tonight I'll Be Staying Here With You (Live) // Jack's Mannequin - Mr. Tambourine Man // Oren Lavie - 4th Time Around // Sussan Deyhim - All I Really Want To Do // Adele -Make You Feel My Love (Recorded Live at WXPN)

DISC 3
K'NAAN - With God On Our Side // Ximena Sariñana - I Want You // Neil Finn with Pajama Club - She Belongs to Me // Bryan Ferry - Bob Dylan's Dream // Zee Avi - Tomorrow Is A Long Time // Carly Simon - Just Like a Woman // Flogging Molly - The Times They Are A-Changin' // Fistful Of Mercy - Buckets Of Rain // Joe Perry - Man Of Peace // Bad Religion -It's All Over Now, Baby Blue // My Chemical Romance - Desolation Row (Live) // RedOne featuring Nabil Khayat -Knockin' on Heaven's Door // Paul Rodgers & Nils Lofgren - Abandoned Love // Darren Criss featuring Chuck Criss and Freelance Whales - New Morning // Cage the Elephant - The Lonesome Death of Hattie Carroll // Band of Skulls - It Ain't Me, Babe // Sinéad O'Connor - Property of Jesus // Ed Roland and The Sweet Tea Project - Shelter From The Storm // Ke$ha - Don't Think Twice, It's All Right // Kronos Quartet - Don't Think Twice, It's All Right

DISC 4
Maroon 5 - I Shall Be Released // Carolina Chocolate Drops - Political World // Seal & Jeff Beck - Like A Rolling Stone // Taj Mahal - Bob Dylan's 115th Dream // Dierks Bentley - Senor (Tales of Yankee Power) (Live) // Mick Hucknall - One Of Us Must Know (Sooner Or Later) // Thea Gilmore - I'll Remember You // State Radio - John Brown // Dave Matthews Band - All Along the Watchtower (Live) // Michael Franti - Subterranean Homesick Blues // We Are Augustines - Mama, You Been On My Mind // Lucinda Williams - Tryin' To Get To Heaven // Kris Kristofferson - Quinn The Eskimo (The Mighty Quinn) // Eric Burdon - Gotta Serve Somebody // Evan Rachel Wood - I'd Have You Anytime // Marianne Faithfull - Baby Let Me Follow You Down (Live) // Pete Seeger - Forever Young // Bob Dylan - Chimes Of Freedom


BILL RYDER-JONES

  Bill Ryder-Jones Lechyd Da (Domino 2024) File Under:   Welsh Sound I Coral sono da più di vent’anni   una di quelle band che tutti...