lunedì 27 gennaio 2020

SWANS

Michael Gira e la rinascita degli Swans.

Ci sono autori con i quali pare impossibile avere un rapporto da semplice ascoltatore occasionale, inevitabilmente si finisce col tempo a stringere con loro un patto emotivo. Una sorta di contratto in cui il loro impegno è quello di non abbandonare mai la loro dimensione stralunata e personalistica della vita e dell’arte, il nostro quello di non abbandonarli mai, qualunque cosa facciano.
Swans Leaving Meaning
Young God – 2019
L’idea di partenza di queste anime solitarie e tormentate, che da anni si muovono nel sottobosco della musica occidentale, è che quello che succede nel segreto di una camera può diventare arte anche senza passare attraverso i filtri di produttori e logiche di marketing, e questo crea con l’ascoltatore un rapporto quasi personale, se non proprio esclusivo. Era così il compianto Daniel Johnston, sono così nomi come Bill CallahanWill Oldham nelle sue mille incarnazioni, Jason Molina e tanti altri, spesso visti come i veri fondatori e precursori della musica indie dei 2000. E naturalmente è così anche Michael Gira, uno che dal 1985 ad oggi ha prodotto tantissimo a suo nome e soprattutto con gli Swans, sigla abbandonata nel 1996, ma ripresa a gran ritmo in questi anni Dieci. Leaving Meaning è il quinto album di questa seconda era.

Swans – Leaving Meaning

Leaving Meaning è un tour de force doppio in cui Gira, sciolta ufficialmente la line-up storica, coinvolge collaboratori vecchi e nuovi. Come i chitarristi Kristof Hahn e Norman Westberg o l’esperto batterista Larry Mullins. Con l’aggiunta di una lunga serie di ospiti che toccano gli stili più disparati, come l’esperto di elettronica Ben Frost, il trio jazz dei Necks o la regina dark Anna von Hausswolff.  Alla fine sono 93 minuti di musica. Una sfida per l’ascoltatore pari agli 89 minuti dei Sun Kil Moon di Mark Kozelek del recente I Also Want to Die in New Orleans.
Due dischi che però evidenziano una differenza sostanziale: laddove Kozelek comincia ad accusare una certa ripetitività (e autoindulgenza) nel presentarsi con regolarità ogni anno con maratone di lunghi talking depressi su basi musicali ipnotiche e ripetitive, sfruttando forse troppo la nostra fiducia a prescindere di cui sopra, Gira conferma di essere un musicista che, nonostante i tempi dilatati e i toni non certo rassicuranti della sua musica, non ha perso di vista come si scrive e costruisce una canzone. E così qui anche un brano di oltre dieci minuti come The Hanging Man, costruito senza ritornello e senza grandi stacchi strumentali che interrompano l’ipnotica monotonia, riesce a mantenere una tensione che neppure un più giovane adepto come il Kurt Vile verboso sentito nell’album Bottle It In riesce ancora a raggiungere.

Leaving Meaning: un disco per i fans degli Swans

Insomma, se volete entrare in Leaving Meaning dovete amare già Gira, ma lui vi ripagherà con la lodevole complessità delle trame sonore della title-track o di tanti altri brani che solo apparentemente sembrano quasi improvvisati. Il ritmo è direi cimiteriale (ascoltate i 12 minuti di The Nub), anche quando magari la tensione esplode come nella seconda parte di Sunfucker o nella cavalcata elettrica di Some New Things.
Non è neanche più il caso di cercare riferimenti per spiegare la sua musica. Scadremmo probabilmente nei soliti Leonard Cohen e Nick Cave, se non proprio nei Joy Division in alcuni momenti, quando invece Gira ha ormai un marchio di fabbrica consolidato da più di trent’anni di carriera in cui ha saputo comunque rinnovarsi e mettersi in discussione. Nonostante, appunto, il suo pubblico non glielo abbia mai richiesto, ormai fedele negli anni.

I testi di Michael Gira

E ci sarebbe anche molto da dire sui testi, dove Gira si lascia andare a ruota libera sulle sue visioni filosofiche e anche su temi alquanto terreni come l’invettiva palesemente anti-Trump di AmnesiaParlare bene di un nuovo album degli Swans pare quasi automatico ormai per chi lo segue, ma è sempre bello scoprire che c’è sempre un buon motivo per farlo.

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