Ryan
Davis & The Roadhouse Band - New Threats From the Soul
2025, Tough Love Records/ Goodfellas
Sette brani con minutaggi che vanno
dai circa sei ai quasi dodici minuti sono un dato abituale per un album di progressive
rock, non certo per il secondo sforzo discografico di un cantautore di stampo
country americano. E invece Ryan Davis, ex componente degli State
Champion e originario di Louisville in Kentucky, dopo che già si era fatto
notare nel 2023 con l’album di esordio Dancing On the Edge, ha voglia di
sorprendere con un disco dall’inusuale struttura, assemblando per l’occasione una
band (chiamata - senza troppa fantasia in questo caso - Roadhouse Band) di ben
7 elementi in cui non manca nulla, dagli strumenti cardine di un qualsiasi
disco country come il violino o la pedal steel, ad elementi più modernisti come
synth e qualche software di programmazione.
A questi si aggiungono più di 15
ospiti, tra cui spicca quasi come nume tutelare un Will Oldham (aka Bonnie
Prince Billy) ai cori, e forse proprio da lui sarebbe utile partire per spiegarvi
questo New Threats From the Soul. Perché se la title-track in apertura viaggia
su canoni che potreste aspettarvi da un Chris Stapleton, già il mid-tempo Monte
Carlo/No Limits mostra la sua stessa passione nel rileggere la tradizione
nashvilliana con amore e originalità, con cambi di ritmo e melodia continui ad
evitare la monotonia. Il trucco di Davis, che sfoggia un vocione d’ordinanza per
il genere (in verità più simile a quello di Bill Callahan che ad un qualsiasi
seguace di Johnny Cash come intonazione) è tutto nei testi, verbosi, a tratti
apparentemente astrusi, e alquanto articolati di immagini spesso sospese tra
l’ironico e l’intimista, un mondo mentale tutto da scoprire che costituisce uno
degli elementi chiave per capire queste lunghe canzoni, con l’episodio più
prolisso (Mutilation Springs, a cui fa seguito più tardi Mutilation Falls, e insieme
fanno più di 20 minuti di canzone) che quasi ricorda certe cavalcate verbali di
Mark Kozelek / Sun Kil Moon.
A volte, come nel caso
dell’incedere classicissimo dell’ottima Better If You Make Me, unisce
tradizione con un cantato volutamente sgraziato e meno impostato, o come nel
lento racconto di Simple Joy, immerso in pedal steel e batterie elettroniche, quasi
a ribadire che la tradizione deve essere per lui un pentagramma su cui scrivere
la propria visione personale di una country-song. Chiude sulla stessa linea Crass
Shadows (At Walden Pawn), tra rumori e suoni di strumenti giocattolo e un
songwriting mai banale. Non è un disco facile New Threats From the Soul, non
siamo a livelli di tour de force di un disco degli Swans, ma poco ci manca
insomma, ma lo consiglio anche al di fuori della cerchia di fans di musica
americana per originalità e ampio raggio di ispirazioni.
VOTO: 7,5
Nicola Gervasini
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