giovedì 4 luglio 2013

WILLIE NILE


 Willie Nile American Ride
[Blue Rose  
2013]
www.willienile.com


 File Under: loud & proud

di Nicola Gervasini (18/06/2013)
Massì…dai…perché no? E facciamoci un nuovo giro americano con Willie Nile. "Non hai bisogno del biglietto, non hai niente da dichiarare" ci rassicura lui dalle note di This Is Our Time. Più che un brano, una sorta di manifesto di appartenenza ad una tribù, compreso il richiamo a collaborare tutti alla realizzazione di American Ride, album nato grazie al generoso crowdfunding del sito PledgeMusic. E opera che già circola con due copertine (e ordine di tracklist) diverse: la prima è la release indipendente nata dalla colletta (con foto decisamente artigianale), la seconda è invece la pubblicazione ufficiale della Loud & Proud (Blue Rose in Europa), forte di una cover graficamente più accattivante. E chissà che questo trip americano non porti qualche adepto in più a quello che già negli anni ottanta ci insegnavano a considerare come il loser per eccellenza.

Lui nel frattempo, dopo aver dimostrato con album di altissimo livello come Beautiful Wreck of the World e Streets of New York che tanti anni di inattività discografica sono davvero stati un peccato, ha intrapreso un lungo tour de force di concerti ad alto tasso di adrenalina. Tanto sudore e soprattutto una musica che si è fatta via via sempre più urbana e meno autoriale. E se il precedente (e a conti fatti deludente) The Innocent Ones pareva un disco di american-punk fatto da Willie Nile, American Ride invece suona subito come un disco di Willie Nile influenzato dal punk americano, e la differenza è sostanziale. I Ramones, che lui va proponendo ormai da alcuni anni anche dal vivo, si sentono ancora, ma intanto lo si sente riabbracciare certo blue-collar rock di un tempo (evidente nella title-track) con rinnovata convinzione. Stavolta quindi il viaggio è ben bilanciato tra momenti romantici (She's Got My Heart), strimpellate tra amici (There's no Place Like Home), giri rubati alla storia (Holy War sembra una cover di All Along The Watchtower e non si vergogna a mostrarlo) e tanti e continui omaggi ad una mitologia di New York che Nile sembra voler tenere viva e vegeta (Sunrise in New York CityLife On Bleeker Street).

La band (l'inseparabile bassista Johnny Pisano, il sanguigno chitarrista Matt Hogan e il batterista Alex Alexander) lo asseconda alla grande, gli ospiti ci sono ma non invadono (il nuovo chitarrista degli Eagles Steuart Smith, le voci diJames Maddock e della folksinger Leslie Mendelson), le canzoni si nutrono di ispirazione ancora un po' altalenante (si passa da brani convincenti come If I Ever See The Light a divertissement senza troppo spessore come Say Hey), ma l'insieme soddisfa. Certo, il viaggio ha un sapore decisamente nostalgico, appartiene a quel mondo cantato dal Jim Carroll di People Who Died, cover che Nile ripropone sempre da qualche anno nei suoi live-sets e che qui trova degna consacrazione in studio, posta al centro di tutto per ricordare che di rock un tempo si moriva, oggi a malapena ci si campa.


      

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