Ci sono musicisti che hanno incarnato
un’idea del far musica ben precisa, e per questo sono discussi, amati o odiati
senza mezze misure. Keith Emerson
era uno di questi: idolatrato da chiunque
consideri la tecnica e lo studio la conditio
sine qua non di una qualsiasi produzione discografica, odiato invece da
chiunque abbia abbracciato la filosofia che il rock è prima di tutto improvvisazione
e istinto. Eppure, quando il 10 marzo scorso ci ha lasciato, Emerson ha
ricevuto gli onori delle armi anche da chi non lo ha mai amato. Giusto
riconoscimento per il tastierista per eccellenza del mondo del progressive
inglese, prima con i Nice, quando si permetteva impunemente di far convivere
Bach e Dylan nello stesso brano, poi con la miliardaria esperienza degli
Emerson, Lake & Palmer. Il suo mito nacque per l’assolo di moog che chiude Lucky Man del loro primo album, da un
lato perfetta rappresentazione di come anche una bella folk-ballad potesse
essere terreno fertile per il suo stile barocco e ridondante, per i detrattori il
primo esempio di “perfetto assolo che nulla c’entra con la canzone” (la storia
dice che effettivamente lui lo registrò controvoglia, solo per poter
giustificare il fatto che un brano così anti-prog apparisse sul disco del
trio). Eppure la sua eredità è tutta in quel minuto finale, in quell’idea che
classica, rock, folk e jazz fossero in
fondo un unico mezzo per arrivare al fine: il musicista. Una teoria che ha
portato avanti con coerenza fino alle estreme conseguenze, sparandosi un colpo
in testa nel momento in cui ha scoperto di non poter più esibirsi per una
malattia alla mano destra. Emerson aveva una intelligenza nello sperimentare
suoni e nuove soluzioni indubbiamente fuori dal comune, ed è singolare, quanto
ironico per un artista poco avvezzo all’essenziale come lui, che nelle accademie
di musica gli allievi imparino il giro base del blues sulla sua partitura di Hony Tonk Train Blues, unico suo singolo
solista di successo (in Italia fu sigla di Odeon, noto programma di RaiDue), e perfetta
esecuzione di un vecchio brano del 1927. Dopo l’era d’oro del prog non ritrovò
più l’occasione giusta per le sue scorribande, se non per la memorabile
soundtrack di Inferno di Dario Argento nel 1980. Ed è da qui che varrebbe la
pena partire per riscoprirlo.
Nicola Gervasini