Pochi nomi hanno pesato sulla
canzone americana degli ultimi vent’anni come quello di Lucinda Williams. Tutte
le nuove generazioni di cantautrici (e non solo) la seguono, la imitano, e la
cercano in ogni canzone. Negli anni scorsi ha insegnato come trasformare la
canzone country in qualcosa di moderno e slegato dai rigidi cliché del genere, tanto
da essere ormai apprezzata anche da un pubblico che certo non vede in Nashville
una Mecca di riferimento. Oggi invece si permette album come il nuovo The Ghosts Of Highway 20 (Highway 20),
più che una semplice raccolta di canzoni, una lunghissima carrellata di
american stories, spesso dolorose e sofferte, come da sempre è il suo marchio
di fabbrica lirico. Impreziosito dalla presenza della chitarra di Bill Frisell,
il nuovo disco è una sorta di libro di testo su come si fa a raccontare vicende
umane in musica, forse ostico e estenuante per orecchie poco allenate (brani
molto lunghi e con pochi momenti di svago, tra cui anche una riuscita cover di Factory di Bruce Springsteen), ma
sicuramente di uno spessore difficilmente raggiungibile dalle sue tante scolare.
I brani sono legati da un’ideale percorso geografico che ne fa quasi un
concept-album volto a spiare le miserie umane nelle case private di città in
città. Se non la conoscete, non è forse questo il disco giusto per iniziare, ma
sicuramente dovrà essere il vostro punto di arrivo.
Nicola Gervasini
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