Mark Eitzel Hey Mr. Ferryman [Decor records 2017] mergerecords.com/mark-eitzel File Under: American Slow-Core Club di Nicola Gervasini (10/03/2017) |
Si dirà che Mark Eitzel in fondo fa lo stesso disco, se non proprio la stessa canzone, da anni. Sarà per questo che il suo nome è uscito da tempo dai radar della critica musicale, che ha salutato molti suoi lavori recenti, compresi quelli dei riformati American Music Club, con l'aria annoiata di chi deve per forza rivedere un vecchio amico che dava già per perso. E' indubbio che un po' se la sia giocata male anche lui: nel 1997 gli album 60 Watt Silver Lining e West furono ben accolti e diffusi, ma da lì in poi si è perso in produzioni forse troppo casalinghe, fino ad arrivare al 2002 e un cover-record (Music for Courage and Confidence) che gli fece guadagnare anche qualche insulto.
Noi continuiamo a credere che almeno il secondo tentativo di ridare lustro al nome degli American Music Club (The Golden Age del 2008) fosse un buon disco, così come non era certo da buttare il suo Don't be A Stranger del 2012, ma sarà forse questo Hey Mr Ferryman il titolo giusto a riportarlo in carreggiata, e a far ricordare che sì, lo stile non cambia, ma lui resta un maestro di un songwriting al quale tutto l'indie rock degli anni duemila deve molto. Il disco poi è davvero il suo prodotto più curato e convinto da tanto tempo, con una sequenza inziale che va dallo splendido mid-tempo di The Last Ten Years alla maestosa melodia di The Answer (a fine album ne viene fornita una seconda versione, più ritmata, ma altrettanto incisiva), fino ad una sofferta e finemente arrangiata The Road, brani che davvero si pongono come nuovi picchi del suo songbook.
Molto del merito va alla collaborazione col chitarrista e produttore Bernard Butler, genio della prima ora degli Suede, che ha creato intorno alla voce sempre calda e soffusa di Eitzel un accompagnamento spesso barocco (le ariose orchestrazioni di Let Me Go), ma mai invadente. Non c'è nulla che dia l'impressione di essere scarno qui, nemmeno un pezzo acustico e notturno come Nothing and Everything che possiede un fine arrangiamento di voci in sottofondo che testimonia la grande cura messa nel realizzare il disco. Sembra quasi volerci dire che se il mondo del songwriting può ormai solo ripetere sé stesso, è anche vero che c'è ancora spazio per realizzare canzoni che colpiscono al cuore e che non confondono l'autoproduzione con la sciatteria. Il suo campionario è già noto, con qualche inserto di elettronica su testi enigmatici dai lunghi titoli come An Angel's Wing Brushed the Penny Slots o In My Role as Professional Singer and Ham, ma, contrariamente al solito, c'è una piacevole varietà di idee nel corso del disco, nonostante il clima rimanga quello autunnale che vi aspettereste dal personaggio.
Qualche momento meno brillante c'è (la leziosa Just Because) e arriva nella seconda parte, ma tra dediche a vecchi compagni di viaggio della malinconia (The Singer, dedicata a Jason Molina) e dimostrazioni di classe (La Llorona), Eitzel ci consegna uno dei lavori più significativi della sua carriera.
Noi continuiamo a credere che almeno il secondo tentativo di ridare lustro al nome degli American Music Club (The Golden Age del 2008) fosse un buon disco, così come non era certo da buttare il suo Don't be A Stranger del 2012, ma sarà forse questo Hey Mr Ferryman il titolo giusto a riportarlo in carreggiata, e a far ricordare che sì, lo stile non cambia, ma lui resta un maestro di un songwriting al quale tutto l'indie rock degli anni duemila deve molto. Il disco poi è davvero il suo prodotto più curato e convinto da tanto tempo, con una sequenza inziale che va dallo splendido mid-tempo di The Last Ten Years alla maestosa melodia di The Answer (a fine album ne viene fornita una seconda versione, più ritmata, ma altrettanto incisiva), fino ad una sofferta e finemente arrangiata The Road, brani che davvero si pongono come nuovi picchi del suo songbook.
Molto del merito va alla collaborazione col chitarrista e produttore Bernard Butler, genio della prima ora degli Suede, che ha creato intorno alla voce sempre calda e soffusa di Eitzel un accompagnamento spesso barocco (le ariose orchestrazioni di Let Me Go), ma mai invadente. Non c'è nulla che dia l'impressione di essere scarno qui, nemmeno un pezzo acustico e notturno come Nothing and Everything che possiede un fine arrangiamento di voci in sottofondo che testimonia la grande cura messa nel realizzare il disco. Sembra quasi volerci dire che se il mondo del songwriting può ormai solo ripetere sé stesso, è anche vero che c'è ancora spazio per realizzare canzoni che colpiscono al cuore e che non confondono l'autoproduzione con la sciatteria. Il suo campionario è già noto, con qualche inserto di elettronica su testi enigmatici dai lunghi titoli come An Angel's Wing Brushed the Penny Slots o In My Role as Professional Singer and Ham, ma, contrariamente al solito, c'è una piacevole varietà di idee nel corso del disco, nonostante il clima rimanga quello autunnale che vi aspettereste dal personaggio.
Qualche momento meno brillante c'è (la leziosa Just Because) e arriva nella seconda parte, ma tra dediche a vecchi compagni di viaggio della malinconia (The Singer, dedicata a Jason Molina) e dimostrazioni di classe (La Llorona), Eitzel ci consegna uno dei lavori più significativi della sua carriera.