Carl Broemel 4th of July [Stocks in Asia/ Goodfellas 2017] www.carlbroemel.com File Under: My Morning Pedal Steel di Nicola Gervasini (24/01/2017) |
Il futuro dei My Morning Jacket è tutto da scrivere, con un Jim James impegnato a far decollare una carriera solista che non decolla, e una produzione ormai saltuaria che continua a scontentare un po' tutti. Aggregato alla band nel 2005 per riempire ulteriormente il suono dell'album Z, ormai lontano ultimo titolo davvero consigliabile del combo di Louisville, Carl Broemel è stato anche protagonista nei tre dischi successivi (Evil Urges del 2008, Circuital del 2011 e The Waterfall del 2015), garantendo al sound della band di non perdersi completamente nei modernismi cercati da James, grazie alle sue inconfondibili chitarre acustiche e pedal-steel.
Broemel nel frattempo si è mosso anche per conto suo, pubblicando già nel 2010 un album solista che dava seguito al suo esordio del 2004, pubblicato quando ancora militava in band minori come gli Old Pike. Ma è con questo 4th of July che in qualche modo cerca di rassicurare tutti sul fatto che finché c'è lui, i My Morning Jacket non perderanno mai quell'anima "roots" che tanto pesava nei loro esordi. Il disco infatti riunisce le anime di folk tradizionale (Sleepy Lagoon), gli sperimentalismi del gruppo (la lunga title-track) e una ispirazione da indie-folker (Snowflake) in un colpo solo. Interessante, se non fosse che al momento sull'argomento esistono "competitors" ben più incisivi come Ryley Walker o Steve Gunn, giusto per citarne due. Ma è indubbio che il disco serva a riconciliarsi anche con il mondo di Jim James, echeggiato e, se vogliamo, anche proprio imitato, nella bella ballata Landing Gear, che altro non è che il brano che tanto vorremmo risentire dai My Morning Jacket.
Nulla è perduto però, si sa che prima o poi gli artisti tornano sui loro passi, se scoprono che il loro peregrinare in cerca di nuove inspirazioni non sta portando a nulla. E questo 4th of July sarà qui per questo, a ricordare che magari si può ripartire anche da una "simple-silly-song" come In The Dark o anche solo dallo strumentale acustico tutto fingerpicking di Crawlspace per ricostruire quel fantastico "wall of sound" di Americana e psichedelìa varia che avevamo apprezzato ai tempi del monumentale live Okonokos del 2006, dove Broemel fungeva addirittura anche da sassofonista. Qui il sassofono lo tira fuori dalla custodia solo nella finale Best Of, un brano che ci riporta ai tempi di Al Stewart grazie ad un ritornello tenuamente "poppish" e un sound sinuoso e quasi radiofonico. Non basta a fare di 4th of July un disco davvero importante, ma è sufficiente per passare 40 minuti in compagnia di un ottimo musicista.
Broemel nel frattempo si è mosso anche per conto suo, pubblicando già nel 2010 un album solista che dava seguito al suo esordio del 2004, pubblicato quando ancora militava in band minori come gli Old Pike. Ma è con questo 4th of July che in qualche modo cerca di rassicurare tutti sul fatto che finché c'è lui, i My Morning Jacket non perderanno mai quell'anima "roots" che tanto pesava nei loro esordi. Il disco infatti riunisce le anime di folk tradizionale (Sleepy Lagoon), gli sperimentalismi del gruppo (la lunga title-track) e una ispirazione da indie-folker (Snowflake) in un colpo solo. Interessante, se non fosse che al momento sull'argomento esistono "competitors" ben più incisivi come Ryley Walker o Steve Gunn, giusto per citarne due. Ma è indubbio che il disco serva a riconciliarsi anche con il mondo di Jim James, echeggiato e, se vogliamo, anche proprio imitato, nella bella ballata Landing Gear, che altro non è che il brano che tanto vorremmo risentire dai My Morning Jacket.
Nulla è perduto però, si sa che prima o poi gli artisti tornano sui loro passi, se scoprono che il loro peregrinare in cerca di nuove inspirazioni non sta portando a nulla. E questo 4th of July sarà qui per questo, a ricordare che magari si può ripartire anche da una "simple-silly-song" come In The Dark o anche solo dallo strumentale acustico tutto fingerpicking di Crawlspace per ricostruire quel fantastico "wall of sound" di Americana e psichedelìa varia che avevamo apprezzato ai tempi del monumentale live Okonokos del 2006, dove Broemel fungeva addirittura anche da sassofonista. Qui il sassofono lo tira fuori dalla custodia solo nella finale Best Of, un brano che ci riporta ai tempi di Al Stewart grazie ad un ritornello tenuamente "poppish" e un sound sinuoso e quasi radiofonico. Non basta a fare di 4th of July un disco davvero importante, ma è sufficiente per passare 40 minuti in compagnia di un ottimo musicista.
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