Allison Moorer Blood [Autotelic/Thirty Tigers 2019] allisonmoorer.com File Under: Blood Sisters di Nicola Gervasini (20/11/2019) |
Esiste una ormai folta schiera di cantautrici legate alla country-music che da anni raccontano l’America con una visione al femminile, attraverso una musica spesso molto sofisticata e al limite del country-pop, ma con un occhio sempre attento alla lezione d’autore alla Guy Clark. Una folla di seguaci di Nanci Griffith e Rosanne Cash, per citare due tra le tante capostipiti del genere, che in questi anni 2000 hanno prodotto un lungo elenco di album piacevoli e sposso anche molto validi, ma con un gusto estetizzante puramente americano che ha impedito che potessero essere prese in considerazione anche dalla critica europea più “indie-pendente”. Allison Moorer non la ricorderei neanche come la migliore del lotto, eppure non penso che se doveste provare ad ascoltare un suo disco (l’esordio risale al 1998 con Alabama Song) ne uscireste "schifati", quanto al massimo solo un po’ annoiati.
Per questo motivo provo a consigliarvi di partire da Blood, disco già molto acclamato in patria e nelle classifiche di genere, in cui la Moorer abbandona un poco le atmosfere sempre troppo costruite “a tavolino” di alcuni suoi album per buttarsi con tutto il cuore in un cantautorato quasi più folk (ascoltate la bellissima Nightlight, ad esempio). L’occasione dell’album è la pubblicazione negli USA di una autobiografia (che potrebbe essere una interessante occasione per capire meglio la sua visione del burrascoso matrimonio con Steve Earle, chiuso definitivamente nel 2015 per sposare il collega Hayes Carll), e quindi il disco segue alcuni episodi della sua vita, in cui viene di nuovo coinvolta anche la sorella Shelby Lynne (accreditata con l’aggiunta del Moorer nel cognome per evidenziarne la parentela), con la quale due anni fa aveva condiviso il già interessante album Not Dark Yet, e che qui regala la voce in I’m The One To Blame.
Non mancano gli episodi più elettrici come The Rock and The Hill, ma alla fine sono i brani più scarni in cui Allison torna con la mente al femminicidio della madre (con seguente suicidio del padre assassino) avvenuto nel 1986 come Cold Cold Earth, Set My Soul Free la stessa Blood. Come dimostra anche il bel finale pianistico di Heal cantato con Mary Gauthier, la Moorer ci mette impegno anche nelle performance vocali, lasciandosi alle spalle quella sensazione di fastidiosa e squillante perfezione che un po’ inficiava alcuni suoi dischi del passato, e scoprendo anche tonalità più profonde (The Ties That Bind, pezzo che ricorda molto lo Springsteen più recente come stile, e non per il fatto di prendergli a prestito un titolo storico).
Da segnalare anche l’ottima apertura di Bad Weather e una All I Wanted (Thanks You Anyway) che riporta alla mente il sound alla Heartbreakers dei primissimi Lone Justice, e non troverei complimento migliore.
Blood è un disco breve ma molto intenso, che ci permette di caldeggiare per una volta l’ascolto di una artista che a 47 anni speriamo stia inaugurando una proficua età della maturità.
Per questo motivo provo a consigliarvi di partire da Blood, disco già molto acclamato in patria e nelle classifiche di genere, in cui la Moorer abbandona un poco le atmosfere sempre troppo costruite “a tavolino” di alcuni suoi album per buttarsi con tutto il cuore in un cantautorato quasi più folk (ascoltate la bellissima Nightlight, ad esempio). L’occasione dell’album è la pubblicazione negli USA di una autobiografia (che potrebbe essere una interessante occasione per capire meglio la sua visione del burrascoso matrimonio con Steve Earle, chiuso definitivamente nel 2015 per sposare il collega Hayes Carll), e quindi il disco segue alcuni episodi della sua vita, in cui viene di nuovo coinvolta anche la sorella Shelby Lynne (accreditata con l’aggiunta del Moorer nel cognome per evidenziarne la parentela), con la quale due anni fa aveva condiviso il già interessante album Not Dark Yet, e che qui regala la voce in I’m The One To Blame.
Non mancano gli episodi più elettrici come The Rock and The Hill, ma alla fine sono i brani più scarni in cui Allison torna con la mente al femminicidio della madre (con seguente suicidio del padre assassino) avvenuto nel 1986 come Cold Cold Earth, Set My Soul Free la stessa Blood. Come dimostra anche il bel finale pianistico di Heal cantato con Mary Gauthier, la Moorer ci mette impegno anche nelle performance vocali, lasciandosi alle spalle quella sensazione di fastidiosa e squillante perfezione che un po’ inficiava alcuni suoi dischi del passato, e scoprendo anche tonalità più profonde (The Ties That Bind, pezzo che ricorda molto lo Springsteen più recente come stile, e non per il fatto di prendergli a prestito un titolo storico).
Da segnalare anche l’ottima apertura di Bad Weather e una All I Wanted (Thanks You Anyway) che riporta alla mente il sound alla Heartbreakers dei primissimi Lone Justice, e non troverei complimento migliore.
Blood è un disco breve ma molto intenso, che ci permette di caldeggiare per una volta l’ascolto di una artista che a 47 anni speriamo stia inaugurando una proficua età della maturità.
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