The
Bleachers - Take the Sadness Out of Saturday Night
RCA, 2021
Rifiutandomi di cedere ancora
alla facile scappatoia di una definizione di “indie-pop” che ormai può
includere di tutto, senza più dire niente di preciso, faccio effettivamente
fatica a focalizzare un modo per descrivervi la musica dei Bleachers,
soprattutto alla luce di questo loro terzo album Take the Sadness Out of
Saturday Night. “Loro”, o farei meglio a dire “suo”, perché poi (questo si
che è un vezzo tipico dell’era “indie”) il nome nasconde un progetto solista di
Jack Antonoff, ragazzo del New Jersey nato a pane e Springsteen, ma
innamorato delle mille possibilità produttive delle tastiere e delle
programmazioni informatiche musicali. Ma anche poliedrico musicista (tra gli impegni
anche quello di batterista per i Fun) che ama ammantare di effetti, loops e
riverberi canzoni figlie di mille tradizioni, e soprattutto autore e produttore
capace di sfornare hit per St Vincent (sua la produzione di Masseduction), Taylor
Swift, Lana Del Rey, e tanti altri. Dicevamo Springsteen però, una presenza
quasi obbligatoria nel background di uno del New Jersey, ma che mai come ora
esce allo scoperto in questo album, vuoi perché il prode Bruce interviene di persona
e presta la sua inconfondibile voce per il brano Chinatown, paradossalmente il
più puramente pop e radiofonico (e diciamo meno springsteeniano) del lotto, vuoi
perché gli arrangiamenti di altri brani del disco (Big Life, 45) celano un “wall
of sound” alla Born To Run fatto di cori, campanelle e tanti suoni amalgamati.
Ma il tutto viene comunque filtrato attraverso la voce per nulla da Jersey-sound
del padrone di casa, e da mille interventi produttivi. Il risultato è spesso
divertente (How Dare You Want More) o pure suggestivo (Don’t Go Dark), anche se
resta un po’ la sensazione di rimanere storditi più che ammirati davanti a
tante citazioni e elementi, in uno stile pop barocco che è sicuramente modernissimo,
se è vero che anche il Beck più recente si aggira in questi paraggi sonori. Il
disco dura solo 33 minuti ma ci sono idee almeno per un triplo, e ribadisce
come Antonoff rimanga alfine sospeso tra una formazione decisamente da
classic-rocker e velleità pop (il duetto con Lana Del Rey di Secret Life), finendo
un po’ per sembrare troppo elaborato per il mondo degli ascolti fugaci dello
streaming commerciale, e fin troppo autore di un pop mordi e fuggi per una
audience più adulta. Ma pare evidente anche dalla pedante partenza di 91, brano
che riprende un’opera della scrittrice Zadie Smith (che interviene di persona) confezionato
con l’aiuto di Warren Ellis, che il progetto dei Bleachers sia diventata la sua
palestra per provare spunti e idee e sfidare entrambi i mondi, forse per
ricordarci quanto il confine tra vecchio e moderno oramai sia talmente labile
da non poter più, appunto, trovare una sua giusta e riconoscibile definizione.
VOTO: 6,5
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