lunedì 6 dicembre 2021

THE BLEACHERS

 

The Bleachers - Take the Sadness Out of Saturday Night

RCA, 2021

 

Rifiutandomi di cedere ancora alla facile scappatoia di una definizione di “indie-pop” che ormai può includere di tutto, senza più dire niente di preciso, faccio effettivamente fatica a focalizzare un modo per descrivervi la musica dei Bleachers, soprattutto alla luce di questo loro terzo album Take the Sadness Out of Saturday Night. “Loro”, o farei meglio a dire “suo”, perché poi (questo si che è un vezzo tipico dell’era “indie”) il nome nasconde un progetto solista di Jack Antonoff, ragazzo del New Jersey nato a pane e Springsteen, ma innamorato delle mille possibilità produttive delle tastiere e delle programmazioni informatiche musicali. Ma anche poliedrico musicista (tra gli impegni anche quello di batterista per i Fun) che ama ammantare di effetti, loops e riverberi canzoni figlie di mille tradizioni, e soprattutto autore e produttore capace di sfornare hit per St Vincent (sua la produzione di Masseduction), Taylor Swift, Lana Del Rey, e tanti altri. Dicevamo Springsteen però, una presenza quasi obbligatoria nel background di uno del New Jersey, ma che mai come ora esce allo scoperto in questo album, vuoi perché il prode Bruce interviene di persona e presta la sua inconfondibile voce per il brano Chinatown, paradossalmente il più puramente pop e radiofonico (e diciamo meno springsteeniano) del lotto, vuoi perché gli arrangiamenti di altri brani del disco (Big Life, 45) celano un “wall of sound” alla Born To Run fatto di cori, campanelle e tanti suoni amalgamati. Ma il tutto viene comunque filtrato attraverso la voce per nulla da Jersey-sound del padrone di casa, e da mille interventi produttivi. Il risultato è spesso divertente (How Dare You Want More) o pure suggestivo (Don’t Go Dark), anche se resta un po’ la sensazione di rimanere storditi più che ammirati davanti a tante citazioni e elementi, in uno stile pop barocco che è sicuramente modernissimo, se è vero che anche il Beck più recente si aggira in questi paraggi sonori. Il disco dura solo 33 minuti ma ci sono idee almeno per un triplo, e ribadisce come Antonoff rimanga alfine sospeso tra una formazione decisamente da classic-rocker e velleità pop (il duetto con Lana Del Rey di Secret Life), finendo un po’ per sembrare troppo elaborato per il mondo degli ascolti fugaci dello streaming commerciale, e fin troppo autore di un pop mordi e fuggi per una audience più adulta. Ma pare evidente anche dalla pedante partenza di 91, brano che riprende un’opera della scrittrice Zadie Smith (che interviene di persona) confezionato con l’aiuto di Warren Ellis, che il progetto dei Bleachers sia diventata la sua palestra per provare spunti e idee e sfidare entrambi i mondi, forse per ricordarci quanto il confine tra vecchio e moderno oramai sia talmente labile da non poter più, appunto, trovare una sua giusta e riconoscibile definizione.

VOTO: 6,5

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