giovedì 20 gennaio 2022

STEVE GUNN

 

Steve Gunn

Other You

(Matador, 2021)

File Under: Smart Folk

Ci sono musicisti bravi e meno bravi, ma una categoria tutta particolare (che non ha poi così tanti membri) è quella dei musicisti “intelligenti”. Che non è una mera valutazione di QI alla americana, e nemmeno un sinonimo di “furbo”, quanto la capacità di far fruttare le proprie qualità al massimo con scelte artistiche azzeccate. Steve Gunn potrebbe essere un buon esempio per rappresentare la categoria, perché di fatto parrebbe un artista con nulla di veramente speciale da offrire di diverso, se non l’essere uno dei tanti giovani americani attivi negli anni 2000 che si sono innamorati del brit-folk classico alla Michael Chapman (che infatti arriverà a produrre), e soprattutto Bert Jansch o John Fahey, per citare gli artisti a cui più assomiglia per vocalità e impostazione. Eppure, da almeno tre album, il suo nome è sempre in cima alle classifiche di varie testate musicali, e non solo quelle come la nostra che seguono un percorso di amore e rinnovo della tradizione, e che giustamente gli riconoscono un ruolo di primo piano in tal senso nel panorama odierno, ma anche in quelle che magari lo mettono a fianco di Lana Del Rey o Kanye West in una visione di panorama musicale globale moderno. Sarà così anche per Other You, disco infatti molto atteso dopo i tanti complimenti ricevuti con il precedente The Unseen in Between, e che non delude le aspettative confermando la sua continua maturazione. Stavolta Gunn si presenta con un disco molto sfaccettato, che avrebbe forse bisogno di più tempo per essere assaporato e valutato, ma anche ai primi ascolti l’album pare appunto “intelligente” perché riesce contemporaneamente a non tradire mai la sua impostazione folk di base aggiungendo ogni volta sempre qualche elemento nuovo senza mai stravolgere il tutto solo per farsi notare. Stavolta è lui stesso che attribuisce il merito alla stimolante ambientazione di Los Angeles, dove il disco è nato sfruttando quell’effetto straniante e contraddittorio del newyorkese (vive a Brooklyn, anche se è originario del Delaware) in vacanza nella West Coast. In ogni caso il team ormai consolidato con il produttore Rob Schnapf sembra aver assorbito come una spugna ogni suono in voga in questi ultimi 10 anni, compreso l’irresistibile mid-tempo di Protection, che potremmo definire come la canzone più tipica di questi anni dieci. È anche il caso di sottolineare come all’autore in grado di scrivere ancora canzoni segnanti, si aggiunge anche un chitarrista per nulla trascurabile, dato davvero raro in quest’epoca in cui l’aspetto tecnico dei musicisti pare non essere più richiesto. Tra brani comunque di spessore come Fulton e The Painter, si stagliano poi altri episodi che dimostrano la sua versatilità, come la Good Wind impreziosita dalla voce di Julianna Barwick, o il momento strumentale di Sugar Kiss che dimostra come Gunn ancora ragiona e costruisce gli album come si faceva un tempo, senza pensare troppo alle nuove esigenze di fruibilità della musica in streaming. Forse Other You non sorprende quanto i suoi predecessori, ma è solo perché ormai possiamo considerare Gunn un affidabile compagno di viaggio in una strada musicale sul cui futuro non è facile scommettere.

 

Nicola Gervasini

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