Steve Gunn
Other You
(Matador, 2021)
File Under: Smart Folk
Ci sono musicisti bravi e meno
bravi, ma una categoria tutta particolare (che non ha poi così tanti membri) è
quella dei musicisti “intelligenti”. Che non è una mera valutazione di QI alla
americana, e nemmeno un sinonimo di “furbo”, quanto la capacità di far fruttare
le proprie qualità al massimo con scelte artistiche azzeccate. Steve Gunn
potrebbe essere un buon esempio per rappresentare la categoria, perché di fatto
parrebbe un artista con nulla di veramente speciale da offrire di diverso, se
non l’essere uno dei tanti giovani americani attivi negli anni 2000 che si sono
innamorati del brit-folk classico alla Michael Chapman (che infatti arriverà a produrre),
e soprattutto Bert Jansch o John Fahey, per citare gli artisti a cui più
assomiglia per vocalità e impostazione. Eppure, da almeno tre album, il suo
nome è sempre in cima alle classifiche di varie testate musicali, e non solo
quelle come la nostra che seguono un percorso di amore e rinnovo della
tradizione, e che giustamente gli riconoscono un ruolo di primo piano in tal
senso nel panorama odierno, ma anche in quelle che magari lo mettono a fianco di
Lana Del Rey o Kanye West in una visione di panorama musicale globale moderno. Sarà
così anche per Other You, disco infatti molto atteso dopo i tanti
complimenti ricevuti con il precedente The Unseen in Between, e che non
delude le aspettative confermando la sua continua maturazione. Stavolta Gunn si
presenta con un disco molto sfaccettato, che avrebbe forse bisogno di più tempo
per essere assaporato e valutato, ma anche ai primi ascolti l’album pare
appunto “intelligente” perché riesce contemporaneamente a non tradire mai la
sua impostazione folk di base aggiungendo ogni volta sempre qualche elemento
nuovo senza mai stravolgere il tutto solo per farsi notare. Stavolta è lui
stesso che attribuisce il merito alla stimolante ambientazione di Los Angeles,
dove il disco è nato sfruttando quell’effetto straniante e contraddittorio del
newyorkese (vive a Brooklyn, anche se è originario del Delaware) in vacanza
nella West Coast. In ogni caso il team ormai consolidato con il produttore Rob
Schnapf sembra aver assorbito come una spugna ogni suono in voga in questi
ultimi 10 anni, compreso l’irresistibile mid-tempo di Protection, che
potremmo definire come la canzone più tipica di questi anni dieci. È anche il
caso di sottolineare come all’autore in grado di scrivere ancora canzoni
segnanti, si aggiunge anche un chitarrista per nulla trascurabile, dato davvero
raro in quest’epoca in cui l’aspetto tecnico dei musicisti pare non essere più richiesto.
Tra brani comunque di spessore come Fulton e The Painter, si
stagliano poi altri episodi che dimostrano la sua versatilità, come la Good
Wind impreziosita dalla voce di Julianna Barwick, o il momento
strumentale di Sugar Kiss che dimostra come Gunn ancora ragiona e
costruisce gli album come si faceva un tempo, senza pensare troppo alle nuove
esigenze di fruibilità della musica in streaming. Forse Other You non sorprende
quanto i suoi predecessori, ma è solo perché ormai possiamo considerare Gunn un
affidabile compagno di viaggio in una strada musicale sul cui futuro non è
facile scommettere.
Nicola Gervasini
Nessun commento:
Posta un commento