Father
John Misty - Chloë and the Next 20th Century
Sub pop/Bella Union 2022
Joshua Michael Tillman ha solo 40
anni, ma una lista di album, esperienze, e collaborazioni lunghissima, dagli
esordi coi Saxon Shore nei primi anni 2000, ai 9 album realizzati col nome di
J.Tillman dal 2001 al 2010, fino all’effimero tentativo di fare il fuoriclasse
in una squadra già vincente come i Fleet Foxes (con loro realizzò solo un album
nel 2011). Ma è indubbio che l’incarnazione più vincente e, a questo punto,
definitiva, è quella di Father John Misty, nome nato quasi per scherzo,
o anzi, come ricordava lo stesso Tillman in una intervista, proprio perché il
suo vero nome era ormai associato ad un indie-folk triste e depressivo e dal
vivo i suoi giochi di parole scherzosi o le sue velleità di leggerezza non
venivano mai presi sul serio quanto i suoi lamenti. Trasformazione “gioiosa”
quindi, quasi alla David Johansen/Buster Poindexter potremmo azzardare, che lo
ha portato anche ad avere un certo successo, tanto da poter vantare anche collaborazioni
nell’alto-mainstream con Beyoncè e Lady Gaga oggi. La sua musica è certamente
cambiata, e anche questo Chloë and the Next 20th Century si fa subito
notare per il divertito gioco dei rimandi ad altri artisti storici, con forse
molto meno Elton John del solito, e molto più Harry Nilsson nelle
orchestrazioni kitsch (ma anche nel falsetto in vibrato che definisce Kiss Me I
Loved You) che lo caratterizzano quasi in ogni brano. Un gioco che pare piacere
parecchio a lui e al suo fido co-produttore Jonathan Wilson, vero
maestro di passatismo già anche nelle sue opere personali, e che qui forse
raggiunge l’apoteosi con una produzione altisonante con quartetto d’archi (i
Nona Quartet), una ampia sezione fiati, e con salti temporali stilistici che lo
portano da Nat King Cole (Funny Girl) a Randy Newman (Everything But Her Love) passando
per Lee Hazlewood (Only Fool), Burt Bucharach (Olvidado Otro Momento) a George
Gershwin (Chloe). Parrebbe dunque un mero esercizio di stile che gli ha preso
la mano, ma Tillman esiste ancora come autore, e qui sta il valore aggiunto,
perché la magniloquenza degli arrangiamenti finisce solo ad essere un
contenitore più accattivante per una serie di testi dove il vecchio J.Tillman riaffiora
con le sue verbose elucubrazioni, le sue ansie rigettate sul pubblico e la sua
visione feroce della realtà. L’apoteosi in questo senso è il finale di The Next
20th Century, quasi una Murder Most Foul di Bob Dylan capovolta, con uno
sguardo sul futuro alquanto negativo, con pochi padroni che rubano tutto
nell’ombra a tanti schiavi distratti da altro (“The Boss Wants to be Anonymous,The
Talent Wants to be Seen”). Pezzo straordinario anche nell’interpretazione, e
punto di arrivo di un percorso artistico che si prende in prestito forse anche
troppo da altri (Goodbye Mr. Blue sta tra una cover di Everybody’s Talkin e una
parodia un qualsiasi cantautore della West Coast anni 70), ma rimacina il tutto
in una visione personale che rende l’epopea di Father John Misty sicuramente
una delle più valide dell’ultimo decennio.
VOTO 7,5
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