martedì 31 dicembre 2024

Susanna Hoffs

 

Susanna Hoffs
The Lost Record
[Baroque Folk Records 2024]

 Sulla rete: susannahoffs.com

 File Under: Walk Like A Bootleg


di Nicola Gervasini (13/11/2024)

Sebbene sia ancora oggi considerata l’ideale icona femminile del rock americano che piace alle nostre pagine, nella discografia solista di Susanna Hoffs mancava ancora il disco di canzoni autografe da consigliare con forza, non quanto perlomeno resta auspicabile per tutti conoscere i dischi delle Bangles degli anni 80. Il suo esordio del 1991 (When You're a Boy) fu troppo sbilanciato verso il lato pop/mainstream, meglio era andata con Susanna Hoffs del 1996 con David Baerwald in cabina di regia a farle recuperare il sound americano a lei più adatto, e sulla stessa linea si muoveva Someday del 2012 (Mitchell Froom alla produzione in questo caso). Ma da solista lei sarà sempre più ricordata come interprete di cover, sia grazie ai quattro volumi di Under The Covers realizzati insieme a Matthew Sweet, sia per album più recenti come Bright Lights (2021) e The Deep End (2023).

Eppure, nel 1999 lei il disco giusto lo aveva anche registrato, quando, un po’ sconsolata per una carriera solista che non decollava, si chiuse letteralmente nel proprio garage a registrare una serie di canzoni molto personali, approfittando dello stop forzato per la maternità. Il disco che ne uscì non fu accettato da nessuna casa discografica, si era al crepuscolo dell’era d’oro delle vendite dei CD e non si rischiava più troppo, e ancora non eravamo negli anni in cui l’autoproduzione era una strada consigliabile, dunque il disco rimase nel cassetto e lei tornò on the road con la più appetibile reunion delle Bangles (Doll Revolution uscirà nel 2003).

Peccato, perché queste dieci canzoni riflettono il suo amore per la musica nata nelle cantine, quella dei suoi esordi da reginetta del "Paisley Undeground", ripensate però per una dimensione decisamente intima e famigliare, resa professionale dalla presenza del bravo Bill Bottrell. Certo, erano gli anni che sul suo terreno Sheryl Crow conquistava le classifiche, e ovviamente il disco era stato pensato senza preoccuparsi di una possibile hit da dare in pasto alle radio, anche se Under The Cloud che apre l’album sarà poi ripescata nel disco delle Bangles del 2011 (Sweetheart of the Sun). A parte la conclusiva Don’t Know Why, cover di un brano della Shawn Colvin di Fat City, i brani sono scritti soprattutto con la collaborazione di Brian MacLeod, e intervengono anche le ex Go-Go’s Charlotte Caffey e Jane Wiedlin a scrivere l’intensa Life on the Inside.

Brani come Grateful e I Will Take Care of You badano quindi alla sostanza con un suono di chitarre scarno ed essenziale, e la sua voce sempre in primo piano, e canzoni come November Sun e I'll Always Love You (The Anti-Heartbreak Song), pur non avendo la fresca immediatezza dei suoi successi più noti con le Bangles, la rivestono con i panni da cantautrice che forse avrebbe dovuto indossare più spesso in carriera.

The Lost Record è un disco che lei ha voluto riesumare perché rappresenta il suo lato più sconosciuto e personale, e arriva non a caso all’indomani della pubblicazione del suo primo romanzo (This Bird Has Flown), segno che forse è solo la prefazione di una nuova fase della sua carriera.

lunedì 23 dicembre 2024

Pixies

 I Pixies mettono da parte la nostalgia per The Night the Zombies Came.

La questione di fondo sulle discografie di questi anni delle band storiche che si sono ad un certo punto riunite per riprendere il discorso è solo una questione di peso del nome. Dici Pixies e pensi subito a un EP e 4 album entrati nel mito usciti tra il 1987 e il 1991, pensi a Where Is My Mind? e a come sembrava un brano importante allora, e lo è ancora oggi che pure i ragazzini lo conoscono a memoria. Dici insomma la band che ha scritto l’ABC di molto del rock alternativo di fine anni ottanta. Loro si erano riuniti già nel 2004, ma fino al 2013 hanno tenuta viva la sigla per qualche show senza mai abbandonare le proprie carriere soliste. Poi quando nel 2014 Black Francis ha deciso che era ora di ripartire anche con nuovi album, ha perso l’appoggio di Kim Deal, che era praticamente la costola fondamentale della sua creatura.

Un disco per Halloween

E così da Indie Cindy fino a questo The Night The Zombies Came (pubblicato non a caso a ridosso di Halloween) non esiste credo recensione o commento che non li paragoni al loro passato, una sorta di condanna che credo Francis avesse comunque calcolato, e che viene ripagata dal fatto che come Pixies i suoi concerti sono sempre sold-out, mentre prima la sua carriera solista stava sempre più scivolando nella marginalità, nonostante abbia prodotto parecchia musica interessante anche al di fuori della band. Il precedente Doggerel era stato il primo passo importante perché recuperava molto delle sue esperienze personali, compreso l’amore per un certo sound roots-rock (e qui basta ascoltare l’apertura di Primrose per capire di che parlo), ed è stato infatti il primo disco che probabilmente ha smesso di inseguire il tentativo di suonare per forza come un tempo, obiettivo che i tre album precedenti avevano fallito.

Pixies – The Night the Zombies Came: all’insegna del divertimento

The Night The Zombies Came è, se è possibile, ancora un passo oltre, cioè riesce finalmente a trovare un perfetto equilibrio tra il peso, inevitabile, di essere una band con una storia di cui essere sempre degni e all’altezza, con la voglia però di continuare a fare nuova musica, senza troppo cedere alla facile via del revival che ormai attanaglia tutta la loro generazione, e soprattutto con un unico imperativo: divertirsi.

I brani di questo disco ammiccano senza timore al glam-rock degli anni 70, e direi quasi più a Rocky Horror Picture Show visti i temi alla Romero trattati. Ci senti l’Iggy Pop più storico (Motoroller) o i Ramones più svaccati (You’re So Impatient), ma soprattutto quattro amici che si divertono, con Joey Santiago lasciato libero di mettere la sua chitarra in primo piano e la nuova bassista Emma Richardson che fa esattamente quello che facevano le sue precedenti colleghe anche con i controcanti, e David Lovering che di fatto non ha mai cambiato il suo stile di drumming dal 1986 ad oggi, anche se la produzione gli pompa un po’ il suono come è di nuovo di moda in questi tempi. The Vegas Suite è una degna malinconica chiusura di un album che no, non è né un capolavoro, né storico, né sensazionale. Sono solo i Pixies che suonano e si divertono, e davvero non è poca cosa.

martedì 17 dicembre 2024

Michael Kiwanuka

 

Michael Kiwanuka

Small Changes

[Polydor 2024]

 Sulla rete: michaelkiwanuka.com

 File Under: soulman's cruising speed

di Nicola Gervasini (01/12/2024)

Anche gli aerei che decollano a grandissima velocità prima o poi devono assestarsi a una velocità di crociera, e così è anche per i giovani artisti che nei primi album esprimono tutto il meglio della loro arte: pensare che possano ogni volta far di meglio è storicamente improbabile. Con questo pensiero abbiamo tutti accolto il nuovo album di Michael Kiwanuka, il quarto in studio, ma soprattutto il titolo che avrà il malaugurato compito di venire dopo due dischi pressoché perfetti come Love & Hate (2016) e Kiwanuka (2019), il che però non costituisce un difetto reale, quanto solo percepito. La storia della musica è piena di esempi di album validissimi accolti freddamente solo perché paragonati a predecessori troppo illustri, eppure oggi ci rendiamo conto di quanto anche mantenere un certo livello non sia per nulla scontato.


Con questa introduzione vi ho già anticipato il giudizio e il senso di questo Small Changes, titolo che sembra quasi volersi giustificare sul fatto che sì, c’è qualche piccola novità, ma sostanzialmente si tratta “solo“ del nuovo atteso album di Michael Kiwanuka. Anche la struttura del disco tradisce una certa paura dell’autore nel presentare qualcosa che non potesse essere accettato dalla buona fanbase guadagnata in più di dieci anni, e così la prima parte dell’album è sicuramente la migliore, perché paradossalmente suona come un addendum ai due album precedenti, fin dal rassicurante singolo Floating Parade e dalla title-track, una di quelle splendide, eteree ballate soul che ci aspettiamo da lui.

La parte finale invece prova a buttarla un po’ su un mix di classe ed emozioni (da cui il continuo paragonarlo a Bill Withers che si legge ovunque), con brani di sicuro impatto melodico come Follow Your Dreams o The Rest Of Me, ma se il livello resta comunque sopra la media del new soul di questi tempi, la sensazione è che stavolta Kiwanuka non abbia trovato il brano-killer che renda il tutto sensazionale. Anzi, in un paio di casi quel poco di sperimentazione in più pare non sortire gli effetti desiderati (per esempio la poco riuscita Stay By My Side), in altri, come l’accoppiata centrale con echi quasi pinkfloydiani di Lowdown, centra invece in pieno il bersaglio. Ripeto, normalissimo che sia così, Small Changes sarà accolto con qualche tono di sufficienza come è destino per i seguiti dei grandi titoli, ma poi in fondo anche oggi siamo qui a scrivere a posteriori di quanto si era esagerato nel giudicare male titoli quali Goats Head Soup dei Rolling Stones o, stando nei nostri meandri, mi viene in mente l’ottimo, ma ai tempi quasi ignorato, Three Snakes and One Charm dei Black Crowes.

Producono ancora una volta Inflo (dei Sault) e Danger Mouse, e il non aver voluto cambiare il team produttivo indica quanto forse Kiwanuka temesse di fare un passo falso. Non lo ha commesso assolutamente perché è andato sul sicuro, e al massimo ha fatto qualche passettino in più verso un elegante smooth-soul un po’ démodé, ma questo basta a dire che Small Changes lo conferma, per quanto ci riguarda, come uno degli artisti migliori della nuova era di quella black music tinta di soul che piace alle nostre pagine.

lunedì 16 dicembre 2024

Carla Torgerson

 

Carla Torgerson dei Walkabouts torna con Beckonings.

Ci sono alchimie tra artisti che restano irripetibili, tanto che, se si rompe la formula, qualcosa sembrerà sempre mancare. Per cui sarà anche sicuramente per la nostra tendenza ad innamorarci (o abituarci) a qualcosa che ci ha dato emozioni tempo fa, ma è evidente che il sodalizio artistico tra Chris Eckman e Carla Torgerson, sia come Walkabouts che come Chris & Carla, resti una delle espressioni artistiche più belle e feconde del mondo indipendente americano degli anni novanta e duemila. E che quindi per quanto soprattutto Eckman si sia prodigato in avventure su terreni nuovi e inesplorati, quando si ascoltano i loro dischi prodotti in separate sedi non riusciamo ma a non pensare che manchi una parte.

La carriera solista della vocalist Carla Torgerson non è mai stata una sua priorità, forse un po’ per la pacificata constatazione di essere destinata a deludere qualcuno, anche se quello che a oggi era la sua unica produzione (l’album Saint Stranger del 2004) risulti ancora oggi un interessante esperimento di folk bagnato in terra greca con produttori e musicisti del luogo.

Vent’anni dopo arriva Beckonings (Drums & Wires Recordings), album che non deve rendere conto a nessuno probabilmente, e che Carla ha infatti registrato in tutta tranquillità con un gruppo di amici, come dimostra una copertina che la mostra in camera tra le amate chitarre, dozzine di vinili e il santino di Robert Johnson appeso al muro, giusto per non avere dubbi su a chi (e di che età) si rivolge l’album.  Che inizia con una cover un po’ a sorpresa, una Happy pescata tra gli episodi meno appetibili della raccolta di inediti Tracks di Bruce Springsteen, eppure fatta sua con grande classe e savoir faire.

Un disco fra cover e autografi

E proprio questa canzone posta all’inizio in qualche moda avverte su dove si vuole andare a parare, e cioè se non è più facile trovare nuove grandi canzoni, resta la possibilità di nuove grandi interpretazioni. E su questo campo, Eckman o non Eckman (comunque presente alla chitarra in Land of Plenty, brano di Terry Lee Hale, e come autore della splendida title-track), la Torgerson non teme grande concorrenza, con quel suo tono indolente un po’ sospeso tra Nico e una jazz-singer che ha fatto scuola tra molte vocalist degli anni ’90.

Oltre le tre cover (la quarta è Please Leave a Light on When You Go di Beck), ci sono cinque brani autografi in cui lo spleen esistenzialista della sua voce si trasmette anche a testi malinconici e un po’ disillusi, sebbene nel disco si respiri un’aria di pace e di una maturità più rasserenata che rassegnata (“Qualcuno una volta ha provato a dirmelo che tutti sono strani e la vita è un casino, ma c’è sempre spazio per insegnare a un pesce a volare, tocchiamo il cuore più che l’occhio”)

Sebbene la band e gli ospiti facciano tutti il loro compito più che egregiamente, manca forse il momento musicale che interrompa quella sorta di rilassato torpore che non ti molla mai fin dalla prima nota. Ma d’altronde questa è la musica che sappiamo di poterci aspettare da lei, e sicuramente, sebbene non scriva una pagina decisiva della sua carriera, Beckonings è un ritorno comunque gradito e più che piacevole.

domenica 15 dicembre 2024

THE BEST OF 2024

 

I MIEI ALBUM DEL 2024 (THE MOST USEFUL POST OF THE YEAR)

Ho inviato le mie liste personalizzate alle due webzine per cui scrivo, ne faccio una terza completa degli ascolti 2024 che mi porterò dietro nei prossimi anni. Serve a me per ricordarli J  Per questa ho diviso gli artisti pre 2000 - 49 album OLD-GEN (cioè che hanno già dato il meglio in era classic-rock) - dai 43 album  post-2000 NEW GEN (cioè artisti che possono essere ritenuti importanti solo nel nuovo millennio, non conta quando poi hanno effettivamente esordito), una divisione arbitraria e tutta mia non discutibile da voi bolla erudita e polemica.

Segnalo poi gli italiani che ho bene o male sentito o recensito, con una classifica speciale per 3 album fuori categoria ma davvero speciali

Ma prima di iniziare vi suggerisco dei commenti da mettere al post:

 

BEST 10 MIGLIORI COMMENTI A QUESTO POST

1)      IL RIGOROSO Ma quando trovi il tempo di ascoltarli tutti bene almeno 10 volte con il libretto dei testi  e la lettura della biografia di ogni singolo musicista coinvolto?

2)      IL POLEMICO Perché gli italiani non sono mischiati agli altri? Perché di loro non si fa classifica? Perché Piotta non ha vinto il premio Tenco?

3)      IL MISTER LAPALISSE è una classifica parziale perché non hai sicuramente ascoltato tutti i dischi del 2024

4)       LA MISS GRAZIA AL CAZZO Le classifiche sono inutili perché poi tutto dipende dai gusti personali

5)       IL DISCOGRAPHY CORRECT Ho contato solo il 35% di donne, il 3% di neri e circa il 10% di artisti di confusa sessualità e nessun artista del Molise, è una lista non inclusiva!

6)      IL SOLIDALE  Bravo, una lista NO-AUTOTUNE, per noi che ascoltiamo il VERO RUOCK!

7)      IL BENALTRISTA Lista incompleta! Mancano i Ciccio and the Cicciones e mia Zia Mafalda

8)      IL DISPENSATORE Vedo che non hai messo il disco di Tizio, te lo consiglio, poi anche quello di Caio, te lo consiglio, poi quello di Sempronio, te lo consiglio, poi quelli di Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Lucio Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo. Tutti consigliati

9)      IL DELUSO No, dai, quello dei Cure fa cagare, non può piacerti, avevi del cotone nelle orecchie, le tue cose, l’aerofagia, il beriberi, sicuramente non stavi bene perché no, quello dei Cure NON PUO’ PIACERTI, perché fa oggettivamente cagare

10)   IL DISCEPOLO Bella lista, me ne mancano 90 su 98, li ascolterà subito e ti dirò cosa ne penso ASAP

 

SOMMARIO:Troverete quindi le seguenti categorie

 

·         BEST 10 NEW-GEN (voto dal  7,5 al 8,5)

·         BEST 10 OLD-GEN Vecchi che insegnano ancora ai giovani (voto dal 7,5 all'8,5)

·         BEST 11-20 NEW-GEN (voto dal  7 al 7,5)

·         BEST 11-23 OLD GEN - Vecchi che ce la fanno ancora comunque (voto dal 6,5 al 7,5)

PIù

·         THE OTHERS NEW-GEN (voto dal  6 al 7 – Ordine Alfabetico )

·         THE OTHERS OLD GEN  Vecchi in pensione che ancora non hanno bisogno della badante (voto dal 6 al 6,5)

·         THE VERY VERY OLD GEN - Vecchi che forse è bene cominciare a cercare una badante (voto dal 5 al 6)             

·         3 DELUSIONI PERSONALI (non brutti, ma ci contavo…)

·         3 ITALIANI DALL’OLTRETOMBA (PREMIO TRIP 2024 ex-aequo)

·         ITALIANI IN ITALIANO (ordine alfabetico)         

·         ITALIANI IN INGLESE (ordine alfabetico)

 

 

 

 

 

BEST 10 NEW-GEN (voto dal  7,5 al 8,5)

1             Decemberists   As It Ever Was, So It Will Be Again

2             Bill Ryder-Jones               Iechyd Da

3             Bright Eyes         Five Dice, All Threes

4             Gillian Welch & David Rawlings Woodland

5             JJ Grey & Mofro              Olustee

6             Lemon Twigs     A Dream Is All We Know

7             Beth Gibbons    Lives Outgrown

8             Felice Brothers Valley of Abandoned Songs

9             Michael Kiwanuka          Small Changes

10           Fantastic Negrito             Son of a Broken Man

 

BEST 10 OLD-GEN Vecchi che insegnano ancora ai giovani (voto dal 7,5 all'8,5)

1             The The               Ensoulment

2             X             Smoke & Fiction

3             Peter Perrett    The Cleansing

4             David Gilmour   Luck and Strange

5             The Cure             Songs of a Lost World

6             Steve Wynn       Make It Right

7             Richard Thompson         Ship To Shore

8             Willie Nelson     The Border

9             J Mascis               What Do We Do Now

10           Nick Cave & The Bad Seeds        Wild God

 

BEST 11-20 NEW-GEN (voto dal  7 al 7,5)

 

11           Jeffrey Foucault              The Universal Fire

12           Iron & Wine       Light Verse

13           Waxahatchee   Tigers Blood

14           Jamey Johnson                Midnight Gasoline

15           Laura Marling    Patterns in Repeat

16           Amy Speace      The American Dream

17           King Hannah      Big Swimmer

18           Hurray For The Riff Raff               The Past Is Still Alive

19           Ed Harcourt        El Magnifico

20           Father John Misty           Mahashmashana

 

BEST 11-23 OLD GEN - Vecchi che ce la fanno ancora comunque (voto dal 6,5 al 7,5)

 

11           Mercury Rev     Born Horses

12           Black Crowes     Happiness Bastards

13           The Hard Quartet            The Hard Quartet

14           Ian Hunter          Defiance Part 2

15           Paul Weller        66

16           Tucker Zimmerman        Dance Of Love

17           Primal Scream   Come Ahead

18           Kim Deal              Nobody Loves You More

19           Dwight Yoakam                Brighter Days

20           Pixies    The Night the Zombies Came

21           Lone Justice       Viva Lone Justice

22           Buffalo Tom       Jump Rope

23           MICHAEL HEAD & THE RED ELASTIC BAND           Loophole

 

THE OTHERS NEW-GEN (voto dal  6 al 7 – Ordine Alfabetico )

 

21           Anders Osborne              Picasso's Villa

22           Adrianne Lenker             Bright Future

23           Amos Lee           Transmissions

24           Amy Helm          Silver City

25           Arab Strap          ‘I’m Totally Fine With It, Don’t Give A Fuck Anymore ‘

26           Bevis Frond        Focus On Nature

27           Bonny Light Horseman Keep Me on Your Mind See You Free

28           Grace Cummings             Ramona

29           Grayson Capps Heartbreak, Misery & Death

30           Jack White          ‘No Name

31           Jessica Pratt       Here In The Pitch

32           Kaia Kater           Strange Medicine

33           Kevin Gordon   The in Between

34           Kiely Connell     My Own Company

35           Laetita Sadier    Rooting For Love

36           Los Campesinos!             ll Hell

37           Marina Allen      Eight Pointed Star

38           Phosphorescent              Revelator

39           Ray LaMontagne             Long Way Home

40           Ryan Adams      Star Sign

41           The Weave        City Lights.

42           Vera Sola            Peacemaker

43           Wild Feathers   Sirens

 

THE OTHERS OLD GEN  Vecchi in pensione che ancora non hanno bisogno della badante (voto dal 6 al 6,5)    

24           T Bone Burnett The Other Side

25           Mark Knopfler  One Deep River

26           John Cale            Poptical Illusion

27           Christy Moore  A Terrible Beauty

28           Slash     Orgy Of The Damned

29           Dion DiMucci     Girl Friends

30           The Jesus and Mary Chain          Glasgow Eyes

31           Carla Torgerson               Beckonings

32           Chris Smither    All About the Bones

33           Dave Alvin & Jimmie Dale Gilmore          TexiCali

34           Joe Ely  Driven To Drive

35           Joe Grushecky  Can't Outrun a Memory

36           Michael McDermott      Lighthouse On The Shore - East Jesus

37           Nick Lowe           Indoor Safari

38           Paul kelly            Fever Longing Still

39           Mavericks           Moon and Stars

40           The Church        Eros Zeta and the Perfumed Guitars

 

THE VERY VERY OLD GEN - Vecchi che forse è bene cominciare a cercare una badante (voto dal 5 al 6)             

41           Steve Forbert   Daylight Savings Time

42           Linda Thompson              Proxy Music

43           Little Feat           Sam's Place

44           Pearl Jam            Dark Matter

45           Rod Stewart      Swing Fever

46           Joan Armatrading           How Did This Happen and What Does It Now Mean

47           Lenny Kravitz    Blue Electric Light

48           Eric Clapton        Meanwhile

49           Deep Purple      -1

 

3 DELUSIONI PERSONALI (non brutti, ma ci contavo…)

 

Chuck Prophet Wake the Dead -  (No Chuck, certe cose le sopportiamo solo dai Los Lobos)

Robyn Hitchcock              1967 Vacations In The Past (Robyn mi scivola sui classici del suo DNA, cover non memorabili come speravo)

Harp      Albion (I Midlake restano una meravigliosa meteora , questo atteso ritorno non vale 1/10 dei capolavori di un tempo)

 

3 ITALIANI DALL’OLTRETOMBA (PREMIO DISCO-TRIP 2024 ex-aequo)

Swanz The Lonely Cat   Macbeth

Vittorio Nistri - Filippo Panichi   Vittorio Nistri - Filippo Panichi

I Sincopatici & Claudio Milano    Decimo Cerchio

 

(sempre da Claudio Milano arrivano anche:

NichelOdeon     Quigyat

Nemo, Milano, Clemente           Frattura, Comparsa, Dissolvenza)

 

ITALIANI IN ITALIANO (ordine alfabetico)         

Agnese Valle     I Miei Uomini

Cesare Basile     Saracena

Daniele Faraotti               EP!EP!HURRAH!

De Francesco    Cupio Invenire

Humpty Dumpty             Et cetera

Luca Rovini & Companeros         Lungo i bordi della vita

Michele Anelli   Non Disperdetevi - Dopo Tutti questi anni

Paolo Benvegnù              È inutile parlare d'amore

Paolo Rig8           Compost

Paolo Ronchetti               Cose da fare

Paolo Zangara   Scusi dov'è il Bar?

Sabrina Napoleone        Cristalli Sognanti

Tv Lumiere         Il Gioco del Silenzio

Vondatty            Unna Storia Moderna

               

ITALIANI IN INGLESE (ordine alfabetico)

Andrea Van Cleef           Horses Latitudes

Any Other          Stillness, stop_you have a right to remember

Black Snake Moan          Lost In Time

Giulia Millanta   Only Luna Knows (lingua mista)

Gold Mass          Flare

J. Sintoni             Where I Belong

Rideouts             The Journey

Satellite Inn       Satellite Inn

Southlands         Still Play'n

               

lunedì 9 dicembre 2024

The Waeve

 Parte come un progetto casalingo il secondo disco del duo The Waeve: City Lights.

In un certo senso è particolare che la discussione sul fatto che in Italia non si facciano più figli verta sempre sul peso economico non più sostenibile, ma spesso anche sull’impossibilità di conciliare una vita genitoriale con una vita professionale o i propri svaghi in maniera equilibrata. Ognuno ha le proprie buone ragioni per decisioni così importanti, questo è ovvio, ma se fossi il nostro Governo  darei risalto ad un disco come City Lights (Transgressive) dei The Waeve, duo formato dalla colonna portante dei Blur Graham Coxon e la compagna Rose Elinor Dougall (ricordate le Pipettes?), registrato in casa mentre badavano alla piccola figlia Eliza May, vista qui quindi non certo come ostacolo alla creatività, quanto invece molla, se non proprio musa (un brano si chiama Song For Eliza May per dire), di un disco davvero sorprendente.

I ruoli di Coxon e Dougall

I Blur hanno da sempre dato prova di grande versatilità e varietà di stili e ispirazione, e sicuramente Coxon ne è da sempre uno degli artefici principali, ma qui chitarrista, in libera uscita da un gruppo ormai da qualche anno ridefinito e riassemblato con successo,  si concede una serie di virtuosismi da musicista completo (suona praticamente tutto tranne gli archi). La prima cosa che si nota è che la voce della Dougall, che ha una tonalità alla Elizabeth Fraser,  quasi da irish singer classica, porta i due a toccare anche corde di rielaborata tradizione quasi alla Mike Oldfield (Girl of The Endless Night), la seconda è che Coxon in questo secondo capitolo della coppia canta di più e ha messo al centro i fiati (che suona lui stesso con gran maestria).

The Waeve – City Lights: non poche le citazioni, a partire da David Bowie

Ma, rispetto all’esordio, è anche un disco decisamente più citazionista, con una partenza nella title-track che chiunque riconoscerebbe essere di marca Bowie periodo berlinese (basterebbe anche solo il pesante drumming che lo apre), ma in generale un evidente amore per la musica new wave (o post-punk che dir si voglia) degli anni 1979-1983,ed è lecito immaginarsi che siano di quel periodo i dischi che la coppia poteva permettersi di suonare in casa senza ovviamente coprire gli eventuali pianti della bimba.

L’album comunque è stato poi rimaneggiato dal produttore James Ford (lo stesso dei Blur recenti), che ha tolto l’inevitabile patina da home-made record rendendo City Lights uno dei dischi più romanticamente nostalgici di questa annata, con una varietà che va dal quasi punk di Broken Boys al dream pop in salsa Cocteau Twins di Simple Days, passando per brani anche complessi come Druantia e You Saw. Insomma, al duo piace vincere facile nel giocare con ricordi e sentimenti di un pubblico sicuramente attempato, e qui sta il limite ovvio e tutto sommato poco importante di un disco comunque riuscito.

domenica 8 dicembre 2024

THE THE

 

The The
Ensoulment
[Earmusic 2024]

 Sulla rete: thethe.com

 File Under: this is the night


di Nicola Gervasini (21/09/2024)

Quasi 25 anni per un nuovo album di inediti sono tanti, e visto che Matt Johnson, in arte The The, non ha mai dichiarato nessun ritiro dalle scene (ogni tanto si faceva vivo con alcune colonne sonore, ufficialmente quattro in totale tra il 2010 e il 2020, ma andrebbero considerate le tante soundtracks non pubblicate usate per molti corti indipendenti), è lecito chiedersi come passasse le sue giornate se non pensando ad un ritorno alla grande. La ferita artistica di un album che non era piaciuto quasi a nessuno (NakedSelf) deve essere stata forte, anche se poi alcuni brani di quel disco sono stati recuperati e valorizzati nel live del 2021, che significativamente si intitolava The Comeback Special (citando Elvis Presley), facendo già presagire che i tempi erano forse maturi per un nuovo vero album.

Ensoulment, diciamolo subito, è quanto di meglio si potesse sperare da un artista che poteva anche essersi arrugginito col tempo. Invece la penna qui è felice, anzi, felicissima, in quello che è forse il disco più verboso della sua carriera, con lunghi titoli (un pezzo che si chiama Some Days I Drink My Coffee By The Grave Oh William Blake vince già dal titolo), e una serie di riflessioni sulla vita e sulla modernità di un uomo che evidentemente non ha mai smesso di osservare il mondo.

Il titolo d’altronde lascia intendere ad una sorta di rinascita, essendo “ensoulment” il termine (filosofico e religioso ovviamente) che definisce il momento in cui il nostro corpo si dota di un’anima alla nascita. Johnson spazia quindi su temi universali di etica, politica e anche personali (Cognitive Dissident è un omaggio allo scomparso fratello Andrew). Dove invece spazia decisamente meno è sotto il profilo musicale, visto che Ensoulment fa piazza pulita di tutta l’elettronica e le stramberie pop dei suoi album storici, per trincerarsi in uno smooth-pop a tinte notturne e soffuse da vero reduce degli anni ‘80. Il punto di (ri)partenza è dunque Dusk del 1992, anzi, più precisamente il brano This Is The Night, il cui mood jazzy viene qui sviluppato e riproposto più o meno per tutto il disco (sentite l’inizio davvero simile di Down By The Frozen River, brano che pare davvero una outtake di Dusk), con qualche classico giro blues in aggiunta

Il che fa di Ensoulment un album elegante e musicalmente maturo, anche se forse possiamo lamentare la mancanza sia di quel pizzico di follia che lo rendeva un degno rivale/sodale di gente come Julian Cope o Robyn Hitchcock nel disegnare mondi sonori del tutto personali, sia probabilmente il contraltare di una personalità musicale forte come era il Johnny Marr che imperversava in dischi come Mind Bomb e il citato Dusk. In ogni caso il lavoro del produttore Warne Livesey è di grandissimo livello, con suoni davvero splendidi, e la voce di Matt ha acquisito ancora più profondità, rendendo brani come Zen & The Art of DatingRisin’ Above The Need o Life After Life dei nuovi classici della sua carriera. Bentornato.

giovedì 5 dicembre 2024

Mercury Rev

 Più che una band, i Mercury Rev li considero quasi una istituzione di quel mondo alternativo anni ‘90 che per qualche momento ebbe anche la fortuna di assaporare un minimo successo (Deserter’s Song  del 1998 andò in classifica in USA e UK, in anni in cui andare in classifica significava davvero ancora qualcosa). Diventati negli anni 2000 una cult-band di quelle che mettono d’accordo tutti i critici e il pubblico più esigente, la creatura musicale di Jonathan Donahue e Sean “Grasshopper” Mackowiak (unici due membri fissi fin dall’esordio del 1991) fa ormai capolino con cadenze lente ma sempre ben studiate nel mondo musicale.

Born Horses (Bella Union) è il loro decimo album, ma anche il primo di originali dal 2015 ad oggi, sebbene l’intervallo con il cover-record dedicato alla stellina del country Bobbie Gentry (Bobbie Gentry’s The Delta Sweete Revisited) abbia rappresentato davvero uno splendido diversivo nella loro produzione, ben lontano dal manierismo della maggior parte dei tribute-record dei nostri anni.

Ci sono novità

Quello che però appare evidente con Born Horses  è che Donahue stavolta ha voluto ragionare non come un autore solitario, bensì come una vera propria band, incamerando in formazione dei nuovi membri (Jesse Chandler al piano e Marion Genser alle tastiere), ma, soprattutto, sviluppando un concept che unisce reminiscenze jazz e amore per la poesia e gli speaking d’autore, con in più quel marchio di fabbrica fatto di dream-pop suadente e notturno, che sa essere oscuro ma rassicurante al tempo stesso. Insomma Born Horses è un viaggio sonoro e lirico impegnativo ma appagante, con una prima parte quasi completamente lasciata allo spoken profondo di Donahue, ma, musicalmente molto più ricco di quello che può apparire ad un primo ascolto.

In qualche modo brani come Mood Swings o Patterns mi hanno quasi ricordato il lavoro degli Spain di Josh Haden, ma gli elementi jazzy potrebbero anche accompagnarsi alla recente uscita dei The The alias Matt Johnson, per dire quanto in fondo il disco è tutt’altro che fuori dal tempo.

Born Horses conferma i Mercury Rev come una band con ancora qualcosa da dire

Ma al di là delle sorprese negli arrangiamenti (con tanto di sax quasi anni 80), il disco mostra un autore ancora in grado di fare scuola, soprattutto nello straordinario finale di Everything I Thought I Had Lost e There’s Always Been A Bird In Me, brani scritti con il cuore in mano. Pur se in alcuni momenti si adagia forse troppo nei toni onirici ed evocativi (Ancient Love), la band è ancora capace di non perdere di vista la canzone e la sua melodia, come capita ad esempio in Your Hammer, My Heart. Un buon ritorno insomma, ancora presto forse dire quanto pesante nell’ambito della loro discografia, ma sicuramente una dichiarazione di salute artistica che li conferma una delle realtà indipendenti più importanti dei nostri anni.


martedì 26 novembre 2024

Steve Wynn

 

Steve Wynn
Make It Right
[Fire Records/ Goodfellas 2024]

 Sulla rete: stevewynn.net

 File Under: true stories


di Nicola Gervasini (02/09/2024)

Sembrava ormai essere stata messa in soffitta la carriera solista di Steve Wynn, ferma al 2010 e a quel Northern Aggression che non aveva poi scatenato troppe reazioni entusiaste. Poi la riuscitissima ripartenza dei Dream Syndicate e la constatazione che persino i dischi dei Baseball Project vendono meglio di quelli a suo nome, lo ha spinto a ritornare a una dimensione da band-leader, con esiti creativi più che incoraggianti. Per questo Make It Right arriva un po’ a sorpresa, ma la ragione di un ritorno al sentiero solitario è la contestuale pubblicazione di una autobiografia (I Wouldn’t Say It If It Wasn’t True), in cui Steve si lascia andare a storie e aneddoti di una carriera ormai più che quarantennale.

E le canzoni di Make It Right sono nate proprio durante la stesura del libro, quasi che ogni tanto un ricordo abbia scatenato anche la voglia di scriverci il testo di una canzone. E sebbene esca a suo nome, è anche una occasione di riunire in studio parecchi amici e collaboratori storici come Stephen McCarthy, Scott McCaughey, Vicki Peterson delle Bangles, Jason Victor, Mike Mills dei R.E.M., fino a Chris Schlarb (Psychic Temple) e Emil Nikolaisen (Serena Maneesh), oltre all’immancabile compagna di vita Linda Pitmon. A produrre il tutto nessun nome giovane o alla moda, ma bensì il vecchio Eric “Roscoe” Ambel (fu chitarrista dei Del Lords), uno che in studio è ancora in grado di ricreare quel suono da rock carbonaro degli anni 80 senza apparire pateticamente stanco e sorpassato.

Non si tratta di passatismo spinto, quanto più della constatazione che alla fine il nome Steve Wynn è da sempre legato ad un suono ben preciso, fatto di chitarre acide, sporche, con i suoni dei garage delle band anni 60 nel motore, e una marca personale ormai riconoscibile in qualunque progetto abbia preso parte. Il disco andrebbe ascoltato quindi durante la lettura del libro (in UK e Usa è appena uscito, se volete invece leggerlo in italiano, la benemerita Jimenez ne ha già annunciato la pubblicazione per gennaio 2025), ma, anche senza, Make It Right riprende il suo discorso solista esattamente là dove lo aveva interrotto, ma con più varietà di elementi e stili.

Troviamo così steel-guitars a dare un tocco quasi country alla title-track o a You’re Halfway There, i fiati e cori che puntellano l’iniziale Santa Monica, i violini che addolciscono la ballata Madly, o ancora la tromba al sapore tex-mex di Cherry Avenue, tutto concorre a rendere più avvincente un album che conferma comunque lo stile-Wynn al 100%. Persino la drum-machine che affiora in What Were You Expecting, o una Then Again che lo riporta alle atmosfere intime e acustiche che furono di un album come Fluorescent non spostano di troppo la sensazione che Steve non abbia molto di nuovo da proporci, ma tantissimo ancora da raccontarci di una favola rock tra le più belle e artisticamente felici della musica americana.

Nel gran finale un po’ acido e lo-fi di Roosevelt Avenue c’è tutto quello spirito da musica da garage che permane intatto anche in un disco che rappresenta uno degli sforzi produttivi più studiati e attenti ai particolari della sua lunga carriera.

Bob Mosley

  Bob Mosley Bob Mosley (Waner Bros/Reprise 1972/2024) File Under: Soul Frisco   E’ il 1972, il country-rock sta esplodendo come g...