martedì 26 novembre 2024

Steve Wynn

 

Steve Wynn
Make It Right
[Fire Records/ Goodfellas 2024]

 Sulla rete: stevewynn.net

 File Under: true stories


di Nicola Gervasini (02/09/2024)

Sembrava ormai essere stata messa in soffitta la carriera solista di Steve Wynn, ferma al 2010 e a quel Northern Aggression che non aveva poi scatenato troppe reazioni entusiaste. Poi la riuscitissima ripartenza dei Dream Syndicate e la constatazione che persino i dischi dei Baseball Project vendono meglio di quelli a suo nome, lo ha spinto a ritornare a una dimensione da band-leader, con esiti creativi più che incoraggianti. Per questo Make It Right arriva un po’ a sorpresa, ma la ragione di un ritorno al sentiero solitario è la contestuale pubblicazione di una autobiografia (I Wouldn’t Say It If It Wasn’t True), in cui Steve si lascia andare a storie e aneddoti di una carriera ormai più che quarantennale.

E le canzoni di Make It Right sono nate proprio durante la stesura del libro, quasi che ogni tanto un ricordo abbia scatenato anche la voglia di scriverci il testo di una canzone. E sebbene esca a suo nome, è anche una occasione di riunire in studio parecchi amici e collaboratori storici come Stephen McCarthy, Scott McCaughey, Vicki Peterson delle Bangles, Jason Victor, Mike Mills dei R.E.M., fino a Chris Schlarb (Psychic Temple) e Emil Nikolaisen (Serena Maneesh), oltre all’immancabile compagna di vita Linda Pitmon. A produrre il tutto nessun nome giovane o alla moda, ma bensì il vecchio Eric “Roscoe” Ambel (fu chitarrista dei Del Lords), uno che in studio è ancora in grado di ricreare quel suono da rock carbonaro degli anni 80 senza apparire pateticamente stanco e sorpassato.

Non si tratta di passatismo spinto, quanto più della constatazione che alla fine il nome Steve Wynn è da sempre legato ad un suono ben preciso, fatto di chitarre acide, sporche, con i suoni dei garage delle band anni 60 nel motore, e una marca personale ormai riconoscibile in qualunque progetto abbia preso parte. Il disco andrebbe ascoltato quindi durante la lettura del libro (in UK e Usa è appena uscito, se volete invece leggerlo in italiano, la benemerita Jimenez ne ha già annunciato la pubblicazione per gennaio 2025), ma, anche senza, Make It Right riprende il suo discorso solista esattamente là dove lo aveva interrotto, ma con più varietà di elementi e stili.

Troviamo così steel-guitars a dare un tocco quasi country alla title-track o a You’re Halfway There, i fiati e cori che puntellano l’iniziale Santa Monica, i violini che addolciscono la ballata Madly, o ancora la tromba al sapore tex-mex di Cherry Avenue, tutto concorre a rendere più avvincente un album che conferma comunque lo stile-Wynn al 100%. Persino la drum-machine che affiora in What Were You Expecting, o una Then Again che lo riporta alle atmosfere intime e acustiche che furono di un album come Fluorescent non spostano di troppo la sensazione che Steve non abbia molto di nuovo da proporci, ma tantissimo ancora da raccontarci di una favola rock tra le più belle e artisticamente felici della musica americana.

Nel gran finale un po’ acido e lo-fi di Roosevelt Avenue c’è tutto quello spirito da musica da garage che permane intatto anche in un disco che rappresenta uno degli sforzi produttivi più studiati e attenti ai particolari della sua lunga carriera.

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