venerdì 31 ottobre 2025

Mike Reid & Joe Henry

 

Mike Reid & Joe Henry

Life and Time

(2025, Thirty Tigers)

File Under: No Country for Old Men

La curiosità che salta subito all’occhio, leggendo le note biografiche del settantottenne Mike Reid, è il suo passato da giocatore professionista di Football Americano, quando ha militato in NFL per 5 anni nei Cincinnati Bengals, interrotti solo da un irrimediabile infortunio al ginocchio nel 1974. Da allora Reid è diventato una figura da backstage del mondo del country, con non poche hit scritte per conto terzi (soprattutto per le star di Nashville Ronnie Milsap e Larry Gatlin), fino al grande successo di I Can't Make You Love Me (co-scritta con Allen Shamblin), bestseller di Bonnie Raitt nel 1991. La sua carriera discografica personale, infatti, inizia solo in quell’anno, quando la Columbia gli dà fiducia sulla scorta di quella hit miliardaria (l’album Luck of the Draw di Bonnie Raitt è arrivato a vendere fino a 7 milioni di copie). I due album pubblicati nel 1991 e 1992 non vendono però quanto preventivato, e così il nostro venne scaricato dalla major, e da allora ha pubblicato solo un del tutto ignorato terzo capitolo nel 2012.

Singolare anche scoprire che, dopo un lungo periodo di ritiro, il nostro, abbia conosciuto Joe Henry durante uno dei mitici” Songwriting Camp” organizzati ogni estate a Nashville da Rodney Crowell, quando le migliori penne della città si incontrano per 3 giorni scrivendo canzoni in puro spirito di collaborazione. I due si sono piaciuti, e dicono di aver scritto almeno 30 canzoni, di cui 12 sono quelle scelte per questo Life and Time (altre sono già state prenotate da Shelby Lynne per un suo prossimo album, ci anticipa Henry). Disco bello e atipico per entrambi, con un coraggioso ribaltamento di ruoli che vede Reid prendersi carico di tutte le parti vocali e della scrittura delle musiche, e Henry che scrive tutti i testi e produce.  Da notare anche il processo in questo senso, visto che Reid ha registrato in casa tutti i demo per voce e piano, e Henry ha inviato ad una schiera di fidati musicisti i nastri per sovraincidere gli interventi degli altri strumenti. Di fatto quindi nessuno dei musicisti si è mai incontrato, e tutti si sono auto-registrati in casa, con la sola eccezione di Jay Bellerose e la stessa Bonnie Raitt, che hanno registrato la loro parte in un vero studio di registrazione.

Tecnicamente per cui il gran lavoro di un Henry in ripresa da una bruttissima malattia è stato una sorta di taglia/incolla, per un risultato decisamente riuscito che sa di esibizione corale e dal vivo. L’effetto finale non è dissimile dalle produzioni di Henry degli ultimi quindici anni, con brani fatti di suoni intensi e molti silenzi, giochi ad incastro tra chitarre acustiche e pianoforti, e tanto, tanto “mestiere” da parte di entrambi. E, se vogliamo, questo rappresenta il pregio, ma anche il difetto dell’album, che suona come un continuo flusso di parole e suoni, senza ritmo, e con melodie solo accennate, che solo la grande maestria dei due padroni di casa evita di far deragliare nella noia. Per contro il pugno di canzoni, che Reid ha cantato davvero bene e con gran trasporto, confermano comunque Henry come uno dei migliori songwriter in circolazione, e il consiglio è di seguire brani come History o Weather Rose nel silenzio e con i testi alla mano per apprezzare appieno un disco non per tutti.

 

Nicola Gervasini

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