lunedì 3 novembre 2025

Jake Winstrom

 

Jake Winstrom

RAZZMATAZZ!

(2025, Jake Winstrom)

File Under: Canceling the noise

Jake Winstrom viene dal Tennessee, e, nonostante l’aria da eterno ragazzino, è già giunto al terzo album, ma Il suo nome era già circolato nel lontano 2008, quando a capo della band dei Tenderhooks, fece una gran bella impressione al Bonnaroo Festival, anche se il loro unico album Vidalia non fu granché segnalato e l’esperienza finì presto. Rimessosi “on the road” nel 2018 con l’esordio Scared Away The Song e il seguito del 2020 intitolato Circles, l’artista si è preso una nuova lunga pausa prima di pubblicare questo RAZZMATAZZ!, e l’impressione è che forse potrebbe essere la volta buona di farsi notare. Proposta non facile la sua, perché se da una parte predilige cimentarsi in bani di soffice chamber-pop acustico che guardano a Paul Simon come schema classico, passando però attraverso un piglio più “indie” alla Elilott Smith (in Can I Get A Ride, ma anche nell’apertura di Exhausted, lo ricorda molto), dall’altra la sua formazione di rockettaro affiora ogni tanto quando chiama a raccolta il batterista Matt Honkonen a dare vigore alle sue canzoni (sentite ad esempio la ruvida e quasi “blue-collar” One More For The Moon).

Di certo è la sua voce molto particolare, pulita e melodica, sospesa tra la teatralità di un Rufus Wainwright e una tonalità che mi ricorda, per chi se li rammenta, cantautori come Pierce Pettis o Tom McRae, o volendo andare ancora più indietro, citerei anche Marshall Crenshaw. D’altronde nella foto promozionale allegata al comunicato stampa lo vediamo in un negozio di dischi con il cd di Grace di Jeff Buckley sullo sfondo a fare da santino, ma volendo potremmo ritenere tali anche i visibili bestsellers dei Fleetwood Mac e dei Supertramp, visto che la vena melodica di certo non gli manca.

Il disco è scritto e prodotto con il collaboratore Jason Binnick, multistrumentista di solito attivo nel mondo delle colone sonore cinematografiche, e con lui Winstrom ha saputo maneggiare i ferri del mestiere sia quando si getta nell’indie-folk intimista di This Blue Note, sia quando fa sfogare la sua Rickenbacker nel Jingle-Jangle rock di Don’t Make the Rules, o quando prova a riempire gli spazi con le tante chitarre elettriche di Jaws Of Life. In Freelancing on a Pheromone richiama quasi il cantautorato rock di Pete Droge degli anni 90, ma in ogni caso è nelle ballate acustiche come Molotov o Canceling The Noise che pare dare il meglio, ed è così che infatti la dolce Lucys Luck chiude un album molto piacevole che aggiunge un nuovo nome da ricordare alla folta (ma sempre apprezzata nei nostri lidi) schiera di cantautori americani.

 

Nicola Gervasini

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