giovedì 24 maggio 2012

GABRIEL & THE HOUNDS


GABRIEL & THE HOUNDS

KISS FULL OF TEETH

Communion Records

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Bisogna stare attenti a muoversi nel mondo del folk indipendente di questi anni: troppi prodotti, troppi artisti bravi a presentarsi come piccoli geni ma incapaci poi di avere vera sostanza dietro il loro atteggiamento modè. Poi ci sono le vie di mezzo come questo Gabriel Levine, esordiente con il nickname di Gabriel & The Hounds, già annunciato dal doveroso hype via web per via delle prestigiose collaborazioni di cui Kiss Full Of Teeth si pregia. I National innanzitutto, che gli hanno anche messo a disposizione gli studios per sgrezzare quanto lui aveva già registrato nel garage di casa, e poi Sufjan Stevens, Bjork, i Beirut e tanti altri nomi di altri mondi musicali, tutti vogliosi di esserci per la nascita del nuovo Bon Iver. Perché il tentativo di ricalcare le orme (sopravvalutate?) di quest’ultimo sono evidenti, nella registrazione lo-fi cercata anche quando il sound è infarcito di sovraregistrazioni e orchestrazioni, quasi avesse voluto creare il Pet Sounds del mondo indie, tra violini e fiati maestosi. Il risultato a livello di impatto è alterno ma in ogni caso sufficientemente professionale e suggestivo, quello che invece a ben sentire ancora non convince è se poi tanta mobilitazione di geni valesse la pena per un pugno di canzoni che non sempre riescono a farsi ricordare. Ci riesce certo What Good Would That Do?, che posta in apertura fa ben sperare, magari il giro alla Lou Reed di The World Unfolds, ma in altri casi come Lovely Thief o When We Die in South America è difficile capire la necessità di tanti fronzoli e barocchismi per ballate che avrebbero fatto centro anche in veste scarna e acustica. Problema che nel finale diventa evidente, quando addirittura si fa fatica a cercare la canzone Who Will Fall On Knees? in mezzo a tanti strumenti. Non parliamo certo di una bocciatura, Levine ha del suo da dire, anche se la sua vocalità soffocata alla M Ward a volte pare essere un freno non indifferente per futuri sviluppi, ma probabilmente in questo primo passo era troppo concentrato nel sembrare qualcun altro, e se avrà il carattere giusto per correre con le sue gambe non è detto che un giorno non scopriremo quale ottimo autore per questi anni dieci si cela dietro queste canzoni. Per ora invece ci teniamo in disparte alle lodi del mondo indie che pioveranno a catinelle su questi nuovo enfant prodige, proprio perché con le stesse idee Sufjan Stevens ha fatto lavori di ben altro spessore, con la promessa comunque che torneremo a seguirlo. Sempre che qualcuno nel frattempo lo abbia davvero convinto che basta così…
Nicola Gervasini

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