GABRIEL & THE
HOUNDS
KISS FULL OF TEETH
Communion Records
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Bisogna stare
attenti a muoversi nel mondo del folk indipendente di questi anni: troppi
prodotti, troppi artisti bravi a presentarsi come piccoli geni ma incapaci poi
di avere vera sostanza dietro il loro atteggiamento modè. Poi ci sono le vie di mezzo come questo Gabriel Levine,
esordiente con il nickname di Gabriel
& The Hounds, già annunciato dal doveroso hype via web per via delle
prestigiose collaborazioni di cui Kiss
Full Of Teeth si pregia. I National
innanzitutto, che gli hanno anche messo a disposizione gli studios per
sgrezzare quanto lui aveva già registrato nel garage di casa, e poi Sufjan
Stevens, Bjork, i Beirut e tanti altri nomi di altri mondi musicali, tutti
vogliosi di esserci per la nascita del nuovo Bon Iver. Perché il tentativo di
ricalcare le orme (sopravvalutate?) di quest’ultimo sono evidenti, nella
registrazione lo-fi cercata anche quando il sound è infarcito di
sovraregistrazioni e orchestrazioni, quasi avesse voluto creare il Pet Sounds
del mondo indie, tra violini e fiati maestosi. Il risultato a livello di
impatto è alterno ma in ogni caso sufficientemente professionale e suggestivo,
quello che invece a ben sentire ancora non convince è se poi tanta
mobilitazione di geni valesse la pena per un pugno di canzoni che non sempre
riescono a farsi ricordare. Ci riesce certo What
Good Would That Do?, che posta in apertura fa ben sperare, magari il giro
alla Lou Reed di The World Unfolds,
ma in altri casi come Lovely Thief o When We Die in South America è difficile
capire la necessità di tanti fronzoli e barocchismi per ballate che avrebbero
fatto centro anche in veste scarna e acustica. Problema che nel finale diventa
evidente, quando addirittura si fa fatica a cercare la canzone Who Will Fall On Knees? in mezzo a tanti
strumenti. Non parliamo certo di una bocciatura, Levine ha del suo da dire,
anche se la sua vocalità soffocata alla M Ward a volte pare essere un freno non
indifferente per futuri sviluppi, ma probabilmente in questo primo passo era
troppo concentrato nel sembrare qualcun altro, e se avrà il carattere giusto
per correre con le sue gambe non è detto che un giorno non scopriremo quale
ottimo autore per questi anni dieci si cela dietro queste canzoni. Per ora invece
ci teniamo in disparte alle lodi del mondo indie che pioveranno a catinelle su
questi nuovo enfant prodige, proprio
perché con le stesse idee Sufjan Stevens ha fatto lavori di ben altro spessore,
con la promessa comunque che torneremo a seguirlo. Sempre che qualcuno nel
frattempo lo abbia davvero convinto che basta così…
Nicola Gervasini
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