mercoledì 6 agosto 2014

LOOKING INTO YOU - tribute to Jackson Browne

Ci vorrebbero almeno dieci pagine per definire il peso del songwriting di Jackson Browne sulla cultura americana, e non solo quella musicale (ne sa qualcosa Stephen King). Cantore crepuscolare della decadenza dell’American Dream e malinconico osservatore della grande depressione degli anni settanta, Browne è stato un autore precoce (These Days la scrisse a soli sedici anni per Nico), e purtroppo anche precocemente in esaurimento. Pur mantenendo una qualità accettabile fino ai giorni nostri, e, in alcuni casi, ritrovando anche un pizzico di ispirazione, la sua grande stagione è durata solo sei anni (dal 1972 al 1977). Ma sono bastati. Looking Into You (Music Road Records/Ird), monumentale tributo in due cd, non disdegna comunque di rivisitare anche pagine più recenti, in un viaggio nel suo repertorio guidati da autori più o meno noti. Più che di rilettura della sua opera, si tratta di un vero proprio omaggio, con commenti in genuflessione da parte di artisti che hanno vissuto in prima persona quella grande stagione come Don Henley, Bonnie Raitt, David Lindley o Jd Souther. Ventitré versioni che non sono reinterpretazioni, quanto vere e proprio riproposizioni, e qui sta forse un po’ il limite dell’operazione, laddove magari invitare qualche artista meno allineato al suo stile avrebbe ravvivato un po’ la festa. Invece a validi nomi  come Paul Thorn, Jimmy Lafave o Eliza Gilkyson (magari noti solo a chi bazzica anche la serie B dell’Americana) non pare vero di poter esserci e di vestire i suoi panni con fin troppo rispetto e devozione. In ogni caso, pur con tutti i limiti di queste operazioni, lo sforzo produttivo è ingente, e i grandi nomi non deludono, da un Lyle Lovett che raddoppia con buone versioni di Our Lady of The Well e Rosie, a Lucinda Williams che storpia un po’ The Pretender, fino ai coniugi Patti Scialfa e Bruce Springsteen che si divertono nel numero tex-mex di Linda Paloma. Nessuno osa strafare, per cui nessuno finisce a meritarsi fischi, e qualcuno come Ben Harper riesce anche a far sembrare Jamaica Say You Will un pezzo tipico del proprio repertorio. Utilizzatelo magari come testo di riferimento per un bel corso di letteratura americana.

Nicola Gervasini

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