SONNY AND THE SUNSETS
TALENT NIGHT AT THE ASHRAM
Polyvinl
Record
***
Sonny Smith è un
personaggio davvero particolare, uno storyteller di penna e pentagramma che viene
da San Francisco. Ha già all’attivo parecchie pubblicazioni discografiche (ma
anche alcuni libri di storie), molte su commissione (incideva canzoni per una
rivista letteraria che era solita allegare cd con canzoni ispirate dai racconti
pubblicati nel mese), più svariati progetti trasversali e meta-artistici. Il
più importante lo ha visto nel 2010 invitare 100 pittori a disegnare le
copertine di 100 dischi immaginari, ementre lui si prodigava nel comporre i
brani per questi dischi sulla base dell’immagine di copertina (compose in totale
200 canzoni). Curiosità a parte, Talent Night At The Ashram, sebbene
sia un home-record autoprodotto, è il tentativo di dare corpo organico alla sua
vasta produzione. Lo accompagnano nell’impresa i Sunsets, band della West Coast nata a pane e Beach Boys, benedice
con un intervento ai cori il cantautore (e leader degli Honeycut) Bart Davenport. Fin dall’apertura di The Application, tra organetti e cori
alla Fleet Foxes, si respira una leggiadra aria indie, incalzata dalla voce del
padrone di casa che ricorda, a seconda di casi, quella di M Ward o di Bon Iver.
Album musicalmente vario, ma che bene o male richiama gli eroi dell’indie-rock
anni 2000: Cheap Extensions sembra un
brano uscito dall’ultimo album dei War On Drugs, con i suoi toni decisamente new wave, oppure
la brillante Alice Leaves For The
Mountains, puro pop per giornata di surf. L’album è breve e non annoia,
anche se il tono ironico e scanzonato di testi e interpretazione (la lunga Happy Carrot Health Food Store sembra una
lunga parodia di un brano degli Eels) lascia tutto nella dimensione del divertissement.
Per certi versi brani come Blot Out Of
The Sun con il suo piano pulsante ricorda le pop-song stralunate di Ben
Folds, mentre Icelene’s Loss è un
palese omaggio al sound del flower power anni sessanta (siamo in zona Spirit).
Pop songs leggere e intelligenti, con forse troppi elementi ed ispirazioni diverse
buttate a casaccio in un patchwork di indie moderno…un disco specchio dei tempi
che vale la pena ascoltare, anche se non lascerà un gran segno.
Nicola Gervasini
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