lunedì 22 giugno 2015

DANNY SCHMIDT

DANNY SCHMIDT
OWLS
Live Once Records
***1/2
Danny Schmidt fa parte di quella nuova schiera di cantautori anni 2000 che vivono ai margini del mercato discografico ma tengono alta la bandiera del buon songwriting d’altri tempi. E’ anche uno di quelli che ancora , dopo ben 8 album solisti, cerca una conferma definitiva del proprio talento, uno alla John Gorka per dire, che fin dagli esordi è sempre vicino al fare il disco della vita, ma alla fine non ci riesce mai. Se volete recuperare qualche puntata precedente buttatevi senza remore su Instead The Forest Rose To Sing del 2009, sicuramente il suo lavoro più maturo e rappresentativo, piuttosto che sul scialbo seguito del 2011 Man Of Many Moons o sul disco a due mani prodotto nel 2014 con la neo-moglie Carrie Elkin (For Keeps). Owls arriva giusto a confermare la caratura del personaggio, sia nel bene che nel male: non è un campione di serie A Danny Schmidt, ma resta una penna capace di emozionare un vocalist davvero notevole, al quale manca solo forse un po’ del fascino che rende Ray Lamontagne più efficace, per citare uno che viaggia sullo stesso binario stilistico. Prodotto in Texas da David Goodrich e suonato da una schiera di fidati amici (tra cui va notata perlomeno la steel guitar di Lloyd Maines), Owls è un buon disco che non cerca di strabiliare con effetti speciali, ma punta dritto al cuore delle canzoni. Se l’apertura di Girl With Lantern Eyes non abbaglia, il livello si alza con la bella The Guns & the Crazy Ones e con la tesissima Soon The Earth Shall Swallow, sei minuti che partono come un blues oscuro e si trasformano in un triste canto strada facendo. Si ritorna su stilemi più classici con l’incedere alla Neil Young di Faith Will Alway Rise, o con il folk minaccioso di Bad Year For Cane, che porta invece al momento più rilassato e spirituale di Looks Like God. La band non suona una nota che non sia men che meno prevedibile e fuori posto, ma il sound è pieno e perfettamente calibrato, e ricorda molto anche i dischi più recenti di Amos Lee. Magari gli si potrebbe far notare che la ballata Cries Of Shadows è davvero simile a mille altre, ma sembrerebbe anche fuori luogo quando pare evidente che lui è artista che si accontenta dell’espressione senza voler fare impressione. Nel finale il disco rallenta ritmo e livello, ma c’è tempo ancora per godere di brani come All The More To Wonder (davvero bella), la semplice Cry On The Flowers, la folkish Paper Cranes, per chiudere dopo 45 minuti con la dylanianissima Wings Of No Restraint. Buon ritorno e disco imperdibile solo per gli amanti della canzone d’autore più soft ed elegante.


Nicola Gervasini

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