Si è fatto un gran parlare dei
canadesi Black Mountain sul finire degli anni zero. Tre album alquanto
acclamati (Black Mountain del 2005, In The Future del 2008 e Wilderness Heart del 2010) proponevano
un mix decisamente vintage fatto di hard-riffs sospesi tra Black Sabbath e Led Zeppelin,
momenti da brit-prog anni 70, uniti ad un certo gusto indie moderno
(soprattutto grazie alla sognante voce di Amber Webber) e, in qualche caso, un
vago ma non fastidioso pop-appeal. Il risultato
non era forse per tutti i palati, eppure venne apprezzato anche da differenti parrocchie
di fans. Si è dovuto aspettare ben sei anni per ascoltare IV (Jagjaguwar), titolo
anche questo zeppeliniano che consolida il valore della band, con l’aggiunta di
qualche elemento di elettronica e sintetizzatori che sposta il baricentro di riferimento
verso certo Aor sinfonico alla Rush o Styx (non suoni per forza come un’offesa).
Basta ascoltare Florian Saucer Attack,
forte di un giro di tastiera che potrebbe appartenere ai Depeche Mode, chitarre
da garage band post-punk, e un cantato da eroina New Wave alla Kate Bush. Un
bel paciugo direte voi, o anche il solito frappè di stili shakerati in un unico
cocktail per incapacità di crearsene uno proprio. Eppure IV, con l’inserimento di tastiere che sanno addirittura di dark
anni ottanta (You Can Dream), sta in
piedi da solo, e ci rassicura anche un po’ sul fatto che sì, la golden age del
rock and roll è cosa ormai lontana, ma grazie a band come i Black Mountain,
siamo ancora distanti dall’arrivo dell’asteroide che estinguerà i dinosauri del
rock e i loro giovani discendenti. Non si tratta più di genio dunque, ma del
buon know-how di saper far suonare un
pezzo come Constellations come se
mimassero una ipotetica svolta hard dei Fleetwood Mac, o di far sembrare il lentone
tutto archi e synth Line Them All Up una
ipotetica versione di The Power of Love
dei Frankie Goes To Hollywood cantata da Tori Amos. Riferimenti, ruberie, mezzi
plagi (il tappeto di tastiere di The
Chain non l’avevamo già sentito in un disco dei Pink Floyd?): quello dei
Black Mountain è un processo di riciclo creativo in linea con i nostri tempi,
in cui tutto quello che pare ormai inutile e sorpassato, si rigenera in una
nuova unione. Non è forse tutta qui l’essenza del rock moderno?
Nicola Gervasini