Abituato a fare le cose
sempre in grande, Roger Nelson, in arte Prince, se ne è invece andato nel
piccolo dell’ascensore di casa sua. Se ultimamente i mass media lo avevano un
po’ trascurato, è bastata la sua morte improvvisa per scoprire come molti
colleghi continuavano invece a riconoscerlo come uno dei più completi e talentuosi
performer che abbiano mai calcato palco. Ammissioni di manifesta superiorità
sono arrivate da ogni dove, da mostri sacri come Mick Jagger o Elton John, da esimi
colleghi di black music come Stevie Wonder, o dalle popstar del momento (Lady Gaga,
Beyoncè). Ma anche da mondi apparentemente lontani, come i vari artisti
dell’undeground anni 80 che ne hanno sottolineato l’influenza, nonostante la
sua appartenenza a quello show-business che loro stessi combattevano a suon di
chitarre (tra i tanti, Bob Mould degli Husker Du e Paul Westerberg dei
Replacements), o persino dal rock americano (Bruce Springsteen, ma anche molti
nomi del mondo country). Eppure in vita, a dispetto di quel suo machismo
sessuale poco finemente esibito in ogni posa e testo di canzone, Prince è stata
rockstar timida e schiva, e sommessamente ci ha lasciato senza il botto finale,
con la triste e poco affascinante storia di una banale overdose di
antidolorifici. Nessuno sarà mai come lui, perfetto in tutto: cantante,
ballerino, compositore, strumentista (suonava di tutto, ma in particolar modo resta
un favoloso chitarrista), showman, e infine anche imprenditore di sé stesso. La
sua tanto desiderata emancipazione dalle major e il suo non concedere nulla
alle nuove piattaforme social lo avevano un po’ isolato dal mondo, e i suoi ultimi
dischi (quattro solo negli ultimi due anni) erano diventati appuntamento fisso
solo per i fans più stretti. Eppure per chi ancora aveva voglia di seguirlo, le
sorprese e i momenti di grande musica non sono mai mancati. La sua folle corsa
all’iper-produzione probabilmente genererà una quantità di inediti ancora per
tanti anni a venire, ma il meglio forse lo conosciamo già, fosse anche solo quella
sua produzione degli anni 80 che ha profondamente segnato e cambiato la Funky Music.
Album come Purple Rain o Parade restano inarrivabili, eppure suonano ancora
lontani dalla perfezione e dall’adrenalina esibita sul palco. Per ricordarlo
dunque meglio riguardarsi il film/concerto di Sign Of The Times, la sua vera
grande eredità per il futuro.
Nicola Gervasini
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