Il percorso dei Red
Hot Chili Peppers somiglia sempre più a quello dei R.E.M.: anni ottanta
fatti di solida gavetta undergound, anni novanta fatti di successi e grandi
vendite, anni duemila caratterizzati da una lenta ma inesorabile perdita di
creatività e mordente. Michael Stipe e soci hanno avuto il coraggio di fermarsi
(per sempre?), Anthony Kiedis, Flea e compagni invece tengono duro, e dopo
l’insuccesso dello spento I’m With You
del 2011, con The Getaway (Warner Bros.) provano a dare un senso al loro futuro.
Archiviato dopo 25 anni il produttore Rick Rubin, i quattro si sono affidati al
modernista Danger Mouse per un disco che fin da subito sa di “adesso proviamo a
fare qualcosa di diverso”. Missione riuscita a metà, perché se è vero che il
disco è sicuramente il più interessante dai tempi di Californication, manca però l’obiettivo di definire una nuova
direzione, finendo a riproporre schemi risaputi scontentando tutti. C’è il
funky (la quasi disco Go Robot ad
esempio), ma non è travolgente come un tempo, c’è il pop (The Longest Wave) ma non è più così vendibile, ci sono ancora rari
sprazzi di rock (Detroit), e c’è
anche altro (l’accoppiata inziale The
Getaway/Dark Necessities mette insieme un po’ tutte le loro anime) che sa
forse di esperimenti del momento. Il presente li vede ancora degni di
attenzione, ma sul loro futuro restano ancora parecchie nubi nere.
Nicola Gervasini
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