martedì 13 settembre 2016

RED HOT CHILI PEPPERS

Il percorso dei Red Hot Chili Peppers somiglia sempre più a quello dei R.E.M.: anni ottanta fatti di solida gavetta undergound, anni novanta fatti di successi e grandi vendite, anni duemila caratterizzati da una lenta ma inesorabile perdita di creatività e mordente. Michael Stipe e soci hanno avuto il coraggio di fermarsi (per sempre?), Anthony Kiedis, Flea e compagni invece tengono duro, e dopo l’insuccesso dello spento I’m With You del 2011, con The Getaway (Warner Bros.) provano a dare un senso al loro futuro. Archiviato dopo 25 anni il produttore Rick Rubin, i quattro si sono affidati al modernista Danger Mouse per un disco che fin da subito sa di “adesso proviamo a fare qualcosa di diverso”. Missione riuscita a metà, perché se è vero che il disco è sicuramente il più interessante dai tempi di Californication, manca però l’obiettivo di definire una nuova direzione, finendo a riproporre schemi risaputi scontentando tutti. C’è il funky (la quasi disco Go Robot ad esempio), ma non è travolgente come un tempo, c’è il pop (The Longest Wave) ma non è più così vendibile, ci sono ancora rari sprazzi di rock (Detroit), e c’è anche altro (l’accoppiata inziale The Getaway/Dark Necessities mette insieme un po’ tutte le loro anime) che sa forse di esperimenti del momento. Il presente li vede ancora degni di attenzione, ma sul loro futuro restano ancora parecchie nubi nere.


Nicola Gervasini

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