I quotidiani italiani continuano imperterriti
a chiamarlo ”blues”, ma sappiamo bene che ciò che Zucchero propone ormai da più
di 30 anni è Pop italiano, appena sporcato di un Soul certo non originalissimo.
Non c’è una sua canzone che non sia, se non proprio plagiata, perlomeno
“ispirata” da altro brano, sia esso un classico della Black Music o uno
qualsiasi dei tanti brani presi in prestito da Joe Cocker; eppure il nuovo
album Black Cat (Universal) merita una
riflessione. Se perfino Bob Dylan o i Led Zeppelin rubavano a tutti per rendere
oro quello che prima era argento, Zucchero finisce sempre per offrire un
prodotto per certi versi superiore alla media italiana. Magari non nei testi,
ancora legati a quell’infantile bisogno di liberazione sessuale e trasgressione
anti-clericale che è tipico del mondo emiliano, o capaci di rime quantomeno
discutibili (Ora fai come fanno i raga. E
credi d'essere Lady Gaga), quanto nella produzione di suoni e melodie che
sono ormai un vero e proprio marchio di fabbrica. Facile quando hai Mark
Knopfler in session e tre produttori come Don Was, T-Bone Burnett e Brendan O’Brien,
che per chi mastica musica americana sono come dire il massimo possibile, ma
resta il fatto che la farina del suo sacco si riconosce sempre, e che i suoi
album insegnano a tutti la nobile e ormai ovunque perduta arte di cercare la
perfezione senza perdere feeling e groove.
Nicola Gervasini
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