venerdì 19 giugno 2020

NADIA REID

Nadia Reid
Out of My Province
[Spacebomb 2020]
nadiareid.com

 File Under: travellin' girl
di Nicola Gervasini (23/04/2020)

Arriviamo ad occuparci per la prima volta di Nadia Reid sulle nostre pagine, anche se Out of My Province è il suo terzo album. La ventinovenne cantante neozelandese, infatti, aveva prodotto Listen to Formation, Look for the Signs (2015) e Preservation (2017) per la meritevole etichetta australiana Spunk Records, ma già il secondo aveva avuto una sua edizione internazionale, richiesta dopo le buone critiche ricevute. Anche se di questi tempi i discorsi sui passaggi di etichetta lasciano il tempo che trovano, per gli effetti comunque poco significativi che possono avere sulle vendite (si sa che la notorietà, a questi livelli, dipende oramai più dalla capacità di self-marketing attraverso i canali social), Ben Baldwin dell’etichetta Spacebomb ha avuto su questo album un ruolo decisivo, perché è stato lui a spronarla a tenere un diario del suo peregrinare per il mondo.

Out of My Province nasce quindi già con lo sguardo rivolto fuori dalla terra natia (il titolo lo rende subito chiaro), con la volontà di crescere e di andare a nutrire l’ormai vastissima schiera di giovani e brave cantautrici di questi anni 2000. Il risultato sono dieci brani dedicati alla propria vita errabonda, un memoriale in musica che ricorda molto quello tenuto praticamente in ogni disco da Bruce Cockburn. A cui avrà sicuramente pensato scrivendo Oh Canada, bellissima ballata in mid-tempo, con chitarre rootsy e fiati, che arriva dopo le delicate orchestrazioni di All Of MY Love (il momento più romantico, posto subito in apertura con un lirismo alla Cat Power, quasi come una dedica all’ascoltatore), e una High & Lonely che inizia seguendo Neil Young, per trovare un finale da soul ballad alla Otis Redding. Il suo cuore viaggiante viene descritto in Heart To Ride appunto, folk-song che unisce la delicatezza di Suzanne Vega ad un canto molto impostato e pulito, quasi alla Joan Baez, mentre Other Side Of The Wheel unisce suggestioni folk con un leggero taglio dark.

Non si inventa nulla la Reid ovviamente, propone il suo suadente folk-rock con la stessa studiata semplicità della Beth Orton degli esordi (la ricorda molto in Best Thing, racconto della tappa italiana ad Amalfi del suo viaggio), senza mai strafare o cercare l’effetto di vocalizzi inutili. Il disco ha una produzione attenta e ricercata (firmata da Matthew E. White con Trey Pollard, responsabile delle orchestrazioni), come dimostra anche l’arrangiamento solo apparentemente scarno della disperata preghiera di Who Is Protecting Me, o la capacità di fare dell’assenza un pregio nel discreto crescendo d’archi di I Don't Wanna Take Anything From You. Nel finale arriva la solitaria riflessione da folksinger di Get The Devil Out, a confermare come il suo viaggiare sia anche un modo per scacciare i propri demoni, prima di trovare, un giorno, una propria casa.

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